Responsabilità dell’ente proprietario per insidie stradali.

di | 17 Luglio 2004

La responsabilità dell’ente pubblico proprietario del tratto stradale, nel caso di insidia, è configurabile non ex art. 2051 c.c. bensì unicamente ai sensi dell’art. 2043 c.c. essendo a tal fine sufficiente la dimostrazione da parte del danneggiato, dell’esistenza del trabocchetto, posto che costui non è tenuto a provare il comportamento colposo omissivo dell’ente.
Tribunale di Mantova, Sez. II Civile – Giudice unico Vittorio Carlo Aliprandi – Sentenza del giorno 17 luglio 2004.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 23.11.2001, Anna Maria Bianchi conveniva in giudizio la Provincia di Mantova per sentir accolte le conclusioni sopra trascritte.

Esponeva l’attrice:

– che, in data 7.04.99, la deducente, in sella al proprio motorino Ciao Piaggio tg. ** transitava regolarmente sulla circonvallazione est di Mantova allorquando, giunta in prossimità con la provinciale “Spolverina”, a causa della ghiaia presente sulla strada, perdeva il controllo del proprio mezzo cadendo rovinosamente a terra;

– che dalla caduta la comparente aveva riportato una grave degenerazione nel muscolo deltoide della spalla sinistra;

– che, a seguito dell’incidente, erano stati necessari ricoveri ospedalieri e la famiglia dell’esponente aveva richiesto assistenza da terze persone, e in particolare, vi era stata la necessità di ricoverare l’anziana madre, Anna Carletti, presso la Casa di Cura “Villa Azzurra”;

– che, pertanto, l’ammontare del danno subito era stato pari a £. 163.958.127.

Si costituiva l’Amministrazione Provinciale, la quale replicava:

– che la responsabilità dell’ente proprietario della strada poteva essere rinvenuta solo nel disposto di cui all’art. 2043 c.c. e non già nella responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c., ragione per cui era necessaria la positiva dimostrazione di una situazione di insidia;

– che comunque vi era stato un concorso colposo della vittima, tanto che il procedimento penale instaurato a seguito di querela presentata dall’attrice era stato archiviato;

– che, infine, il quantum era eccessivo e il danno morale non era dovuto per l’impossibilità di configurare un’ipotesi di reato.

       Alla prima udienza, l’ente convenuto offriva l’importo di € 22.100 a mezzo assegno circolare a mero titolo transattivo e tale somma era trattenuta dall’attrice a titolo di acconto sul maggior risarcimento preteso.

Assegnati i termini per la precisazione delle domande e per le integrazioni istruttorie, la lite era istruita mediante consulenza medico legale, affidata alla dott. C.R., e con l’escussione dei testi Ezio Verdi, Franco Rossi, e Claudia Setti.

Esaurita l’istruttoria, i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni, trascritte in epigrafe, e la causa era rimessa in decisione, previa assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e lo scambio delle memorie di replica.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda attorea è fondata, e va, per quanto di ragione, accolta.

In fatto, è pacifico che, in data 7.04.99 alle ore 10.35, Anna Maria Bianchi, a bordo del suo motorino, percorreva la circonvallazione sud di Mantova (viale Pompilio) allorquando giunta all’intersezione con la strada provinciale denominata “Spolverina” azionava i freni per arrestare la propria marcia in presenza di un impianto semaforico proiettante luce rossa. A causa della presenza di uno strato di ghiaia presente sul manto stradale, l’attrice perdeva il controllo del proprio mezzo cadendo rovinosamente a terra.

La dinamica del fatto non è contestata e il teste oculare X, alla guida di un’autovettura incolonnata, sentito dagli agenti della Polizia Municipale di Mantova, riferiva che il ciclomotore procedeva a velocità ridotta e, dopo aver ultimato una manovra di sorpasso a destra, si arrestava a sua volta cadendo a terra per la presenza di ghiaia sul manto stradale (cfr. rapporto in atti).

Altro teste oculare, Ezio Verdi, confermava la ricostruzione dell’accaduto e precisava: “… C’era uno strato di ghiaino sulla strada percorsa dall’infortunata. Fu rilevata anche una traccia di frenata, e ciò sul tratto percorso dalla signora. Lo strato di ghiaino era presente in tutta l’area dell’intersezione. …”

L’agente Y, intervenuto per i rilievi, ribadiva che sulla carreggiata percorsa dalla vittima e sull’area dell’intersezione vi era uno strato di ghiaino.

       Fatte tali premesse in fatto, in diritto, va precisato che per i danni subiti dall’utente in conseguenza dell’omessa od insufficiente manutenzione di servizi pubblici, tra cui in primis le strade, il referente normativo per l’inquadramento della responsabilità della p.a. è precipuamente l’art. 2043 c.c. e non già l’art. 2051 c.c. che sancisce una presunzione inapplicabile nei confronti della p.a. con riferimento ai beni demaniali, quando essi siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi e l’estensione della res non consenta una vigilanza e un controllo idonei ad evitare l’insorgenza di situazioni di pericolo.

E’ l’art. 2043 c.c. che sanziona l’osservanza della norma primaria del neminem laedere, ovvero di far sì che una strada aperta al pubblico transito non integri per l’utente una situazione di pericolo occulto e, conseguentemente, sarà onere del danneggiato fornire la prova rigorosa dell’esistenza della situazione insidiosa e della non prevedibilità del pericolo stesso (cfr. ex multis Cass. 21.12.2001 n. 16179).

In altri termini, la pubblica amministrazione incontra, nell’esercizio del suo potere discrezionale nella vigilanza e nel controllo dei beni demaniali, i limiti derivanti dalle norme di legge e, in particolare, è sempre tenuta all’osservanza del generale principio del neminem laedere, di talché la stessa deve far sì che il bene demaniale non presenti per l’utente una situazione di pericolo occulto, non visibile e non prevedibile che dia luogo alla cd. insidia stradale.

Ai fini della responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c., il danneggiato deve provare l’esistenza del trabocchetto non visibile e non prevedibile, ma non deve altresì dimostrare il comportamento colposo omissivo dell’ente concessionario per non aver rimosso o segnalato l’insidia (cfr. Cass. 30.07.2002 n. 11250, Cass. 8.11.2002 n. 15710, 5.07.2001 n. 9092). 

       Orbene, nella fattispecie, sussiste la prova dell’esistenza dell’insidia, ovvero di quella situazione di pericolo oggettivamente non visibile, non evitabile e non prevedibile e, a tal riguardo, basta rilevare:

– che l’attrice, a velocità moderata, percorreva la circonvallazione est di Mantova allorquando proprio in corrispondenza di un’intersezione e al lato destro della carreggiata si trovava del materiale inerte (ghiaia e sabbia) assolutamente non distinguibile per la sua colorazione simile a quella dell’asfalto e per le condizioni di traffico esistenti;

– che l’attrice, in presenza del semaforo rosso, doveva necessariamente arrestare la propria marcia e, nonostante la velocità ridotta, perdeva il controllo del mezzo;

– che la caduta della Bianchi è causalmente connessa con la presenza di sabbia e piccola ghiaia sul manto stradale, essendo notorio che la presenza di tale materiale determina perdita di aderenza in caso di attivazione dell’impianto frenante;

– che, infine, la sabbia e la ghiaia erano presenti solo in prossimità dell’incrocio e sul lato destro della strada e pertanto non erano assolutamente visibili e distinguibili con congruo anticipo, per come si può altresì desumere dai rilievi fotografici in atti allegati al rapporto redatto dalla Polizia Municipale, in modo da consentire le adeguate manovre di emergenza.

Appare quindi evidente che sono integrati tutti i presupposti per integrare la nozione di insidia stradale nei termini sopra esplicitati e conseguentemente l’ente convenuto è tenuto a risarcire integralmente il danno sofferto dall’attrice.

La provincia convenuta allegava un concorso di colpa della danneggiata, ma invero dalla ricostruzione del fatto tale contributo causale non emerge, né la parte interessata si è premurata di allegare in primis e di dimostrare poi eventuali condotte negligenti o imperite dell’infortunata tali da determinare il verificarsi del fatto dannoso o l’aggravamento delle conseguenze dell’evento.

       Passando alla trattazione del quantum, la consulente dott. C.R. accertava che la Anna Maria Bianchi, nell’evento di causa, aveva riportato la lussazione posteriore della spalla sinistra con lesione del cercine anteriore e del nervo circonflesso del nervo ascellare, di talché residuava una grave artropatia della spalla sinistra in soggetto destrimane con funzionalità attiva pressoché abolita. Quantificava i postumi permanenti nella misura del 21%, l’invalidità temporanea assoluta in giorni venti e quella parziale in giorni quaranta e con un danno alla capacità lavorativa specifica di casalinga pari all’8%.

Con riguardo alla problematica dell’invalidità specifica, va precisato che la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine all’attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolga attività produttive di reddito, né è in procinto di svolgerla, è risarcibile quale danno biologico che comprende tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene salute in sé considerato. Qualora, invece a detta riduzione si associ una limitazione della capacità lavorativa specifica che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione integra un danno patrimoniale che va accertato nel caso concreto e la cui prova incombe sul danneggiato (cfr. ex multis Cass. 18.04.2003 n. 6291).

In tale prospettiva, la casalinga, pur non percependo un reddito monetizzato, svolge comunque un’attività suscettibile di valutazione economica, sicché la presenza di una riduzione della capacità lavorativa specifica – come accertata dal consulente – integra un danno patrimoniale da liquidare in via autonoma (cfr. Cass. 11.12.2000 n. 15580) allorquando sia data dimostrazione che la danneggiata era componente di un nucleo familiare stabile e l’evento abbia determinato una privazione di tale ausilio e un pregiudizio economico ad es. la necessità di esborsi per ricorrere a prestazioni di terze persone.

Nella fattispecie, la Bianchi attendeva alle esigenze della propria famiglia e dell’anziana madre e la teste Claudia Setti riferiva che, dopo l’incidente, dal 1999 al 2001 aveva lavorato per l’attrice, impossibilitata a muovere un braccio.

Alla luce delle predette emergenze, nonostante non sia stata data la prova rigorosa che il ricovero di Anna Carletti nata nel 1913 sia da ricollegare al sinistro de quo, ricorrono i presupposti per riconoscere all’attrice gli importi erogati alla cittadina straniera per la conduzione familiare ed esposti in € 6.693,28.

Passando ora alla quantificazione del danno biologico, questo ufficio giudiziario ha adottato il criterio del punto flessibile, come recepito nella “tabella di liquidazione del danno biologico da invalidità permanente e temporanea” in uso presso il Tribunale di Milano, tabella che, pur consentendo una liquidazione equa ed uniforme per tutti i soggetti, non preclude un margine di discrezionalità onde adattare caso per caso l’indennizzo alla fattispecie concreta.

Applicando il criterio del punto flessibile indicato dalle tabelle milanesi 2004, in luogo del vetusto e superato sistema del triplo della pensione sociale, il danno biologico da invalidità permanente, accertato nella misura del 21%, va liquidato in € 42.139 (valore punto € 2.730,13 per percentuale di invalidità, coefficiente di demoltiplicazione 0,735 in relazione all’età di anni 54 dell’infortunata al momento del sinistro).

Per l’invalidità temporanea assoluta competono all’infortunata € 800 (gg. 20 per € 40), per l’invalidità temporanea parziale competono € 800 (40 gg. per € 20).

Determinato il danno biologico nella complessiva somma in moneta attuale di € 43.739, il danno morale viene equitativamente determinato, tenuto conto dell’età della vittima e dell’entità delle lesioni, nella misura di 2/5, ovvero in € 17.495.

Con specifico riguardo al danno morale, l’assunto di parte convenuta secondo cui l’assenza di un reato – per l’intervenuta archiviazione della querela presentata nei confronti del presidente dell’ente o da un suo delegato alla manutenzione stradale – comporterebbe l’impossibilità di riconoscere il danno morale non è condivisibile. Invero, tale danno ex art. 2059 c.c. va riconosciuto in tutti i casi in cui sia astrattamente ravvisabile un fatto di reato (cfr. Cass. 14.07.2003 n. 10987 in cui è stato affermato il principio che pure in caso di applicazione della presunzione ex art. 2054 c.c. il giudice deve valutare, con accertamento non vincolante per il giudice penale, la sussistenza di un’ipotesi di reato) e nella fattispecie ricorre l’ipotesi di lesioni colpose.

Vanno riconosciute le spese mediche esposte e non contestate in € 680,84.

L’importo complessivo del danno, definitivamente accertato in € 61.234, 43.739 + 17.495) va devalutato all’epoca del fatto, id est € 54.132,88 e aumentato delle spese sostenute e del danno patrimoniale riconosciuto.

Su detto nuovo ammontare, pari ad € 61.507 (sommatoria di 54.132,88, 680,84 e 6.693,28) devono essere calcolati gli interessi e la rivalutazione maturati sino alla corresponsione dell’acconto di € 22.100 risalente al 19.02.2002, con l’avvertenza che gli interessi e la rivalutazione vanno calcolati secondo il dettato impartito dalle sezioni unite della Suprema Corte con la nota pronuncia 17.02.1995 n. 1712, la quale ha confermato la legittimità del cumulo, nei debiti di valore, tra rivalutazione della somma e gli interessi, pur precisando che questi ultimi non vanno calcolati sulla somma già rivalutata o liquidata in moneta attuale, ma sul valore iniziale dovuto al momento del verificarsi dell’illecito e sui progressivi adeguamenti di valore stesso, corrispondenti alla sopravvenuta inflazione.

Gli acconti o la provvisionale erogati in favore del danneggiato non sono imputabili agli interessi, non essendo applicabile il criterio previsto dall’art. 1194 c.c. che presuppone l’esistenza di un debito pecuniario, inesistente sino al momento della liquidazione del danno; i versamenti in acconto devono imputarsi al capitale e riducendo l’ammontare del danno vanno parallelamente rivalutati perché elidono il fenomeno della svalutazione rispetto ad una parte del danno medesimo, mentre gli interessi devono essere calcolati sull’importo liquidato con decorrenza dalla data dell’evento dannoso sino alla corresponsione dei singoli acconti (cfr. Cass. 14.03.1996 n. 2115, Cass. 10.03.1990 n. 1982).

In applicazione dei predetti criteri, al 19.02.2002 erano maturati sul capitale di € 61.507, € 4.458 per rivalutazione ed € 5.200 per interessi legali; alla data dell’acconto, l’originario capitale era pertanto asceso ad € 65.965 (61.507 + 4.458) e decurtato dell’importo di € 22.100 discende a € 43.865.

Su questo capitale residuo, dalla data dell’acconto ad oggi, decorrono rivalutazione pari a € 6.029 ed interessi legali pari ad € 7.195, da incrementare con gli interessi legali maturati prima dell’acconto stesso.

Il danno complessivo da risarcire ulteriormente ad Anna Maria Bianchi  assomma quindi ad € 62.289  (43.865 + 6.029 + 7.195 + 5.200), oltre interessi legali dal 18.07.2004 al saldo.

Le spese di lite, liquidate in dispositivo, e di consulenza vanno poste a carico della parte soccombente.

P.  Q.  M.

       Il Tribunale di Mantova, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente decidendo nel contraddittorio fra le parti sulla domanda proposta da Anna Maria Bianchi, con atto di citazione ritualmente notificato in data 23.11.2001, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

– accertata la civile responsabilità della Provincia di Mantova, in persona del Presidente pro tempore, condanna la convenuta a versare ad Anna Maria Bianchi, per le causali indicate in motivazione, l’importo di € 62.289, oltre interessi legali dal 18.07.2004 al saldo;

– pone le spese di consulenza, liquidate con decreto 15.04.2003, definitivamente a carico di parte convenuta;

– condanna, infine, l’ente convenuto a rifondere all’attrice le spese di lite, liquidate in complessivi € 6.368, di cui  € 368 per spese ed anticipazioni, € 2.000 per diritti, € 4.000 per onorari di avvocato, oltre rimborso spese generali ex art. 15 T.F., I.V.A. e C.P.A.

Così deciso in Mantova, lì 17.07.2004

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