Non si possono espellere i clandestini due volte

di | 17 Agosto 2006

Il Questore può adottare un solo decreto di espulsione nei confronti degli extracomunitari clandestini recidivi. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, affermando che il Questore non può emanare più di un decreto di espulsione nei confronti degli immigrati clandestini, e ciò al fine di evitare che gli immigrati, che non abbiano ottemperato ad un precedente ordine di allontanamento dal territorio italiano, siano processati e condannati più volte per lo stesso reato.
Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n. 20374/2006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE I PENALE

SENTENZA

OSSERVA

Con sentenza del 1° aprile 2005, il Tribunale di Brescia assolveva I. F., con la formula perché il fatto non sussiste, dal delitto di cui all’art. 14 co. 5ter del D.lgs. 286/98 per essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine emesso dal questore di Brescia in data 8 gen. 2005 a seguito di nuovo dec5reto prefettizio di espulsione con accompagnamento alla frontiera adottato dopo la sentenza di applicazione della pena per l’inottemperanza alla precedente intimazione del questore di Rovigo del 31 mar. 2004.

Il procuratore generale di Brescia proponeva ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 14 co. 5 ter del d.lgs. 286/98, sull’assunto che il tribunale aveva ingiustamente disapplicato il provvedimento amministrativo, discostatosi dall’indirizzo ella giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui l’ordine del questore è reiterabile anche nell’ipotesi in cui lo straniero privo di permesso di soggiorno sia stato già condannato e sia stato raggiunto da nuovo decreto di espulsione.

Il ricorso è infondato.

Non è controverso che all’imputato, entrato clandestinamente in Italia e già espulsa con decreto prefettizio, è stata applicata la pena della reclusione per non aver osservato l’intimazione del questore (datata 31 mar. 2004) di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni e che, dopo quella sentenza, lo straniero è stato raggiunto da nuovo provvedimento prefettizio 8 gen. 2005 di espulsione con accompagnamento alla frontiera, cui ha fatto seguito, in pari data, un reiterato ordine del questore adottato ai sensi dell’art. 14, co. 5 bis, del d.lgs n. 286del 1998.

Dall’inosservanza di quest’ultimo ordine è derivata l’instaurazione del presente processo con la contestazione di un secondo reato ex art. 14, a norma del quale, nell’ipotesi in cui lo straniero abbia già riportato una prima condanna per violazione dell’intimazione del questore, in ogni caso si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Come è stato perspicuamente osservato dal giudice di merito nella sentenza impugnata, la disposizione, inserita dall’art. 13, co. 1, lett. b) della legge 30/7/2002, n. 189 e poi sostituita dall’art. 1, co. 5 bis, del d.l. 14/9/2004, n. 241, convertito, con modificazioni, nella legge 12/11/2004, n. 271, esprime l’intenzione del legislatore di ammettere quale unica forma di esecuzione del nuovo provvedimento di espulsione adottato nei confronti dello straniero clandestino già condannato per non aver volontariamente ottemperato all’ordine del questore quella dell’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.

Siffatta ricostruzione della reale portata della motivazione trova, anzitutto, un preciso e solido aggancio ermeneutico nel dato testuale desunto dalla locuzione: in ogni caso…, che non figurava nell’originaria versione della disposizione, la cui pregnanza espressiva rivela univocamente la precedente condanna per il reato di cui all’art. 14, co. 5 ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, la normativa non ammette altra soluzione che quella dell’uso della forza pubblica per l’esecuzione dell’espulsione.

Il risultato interpretativo è avvalorato da probanti argomenti logici, che fanno apparire indubbiamente incoerente e irragionevole la previsione della possibilità di un nuovo ordine del questore, successivo all’intervento di una condanna e di una seconda espulsione, che resti affidato alla volontaria esecuzione di un soggetto che ha già manifestato l’intenzione di non voler abbandonare il territorio italiano.

Tali riflessioni inducono a rimeditare l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nel sistema delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e la condizione dello straniero, la previsione, contenuta nell’art. 14, co. 5 ter, del D.Lgs. n. 286 del 1998, di una nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera dello straniero che non abbia osservato l’ordine di allontanamento in precedenza impartito implica la cessazione della permanenza del reato anteriormente commesso e l’inizio della permanenza di un diverso reato, decorrente dalla scadenza del termine assegnato per lasciare il territorio dello Stato (Cass., sez. I, 27 apr. 2004, PM in proc. Cherednicenko, rv. 229047).

Il principio, così enunciato nella massima ufficiale è ribadito da una successiva decisione (Cass., sez. I, 12 ott. 2005, PG in proc. Shire Karim), è giustificato nella motivazione della sentenza Cherednicenko con l’osservazione che, qualora la nuova espulsione risulti materialmente impossibile perché lo straniero già condannato non è stato identificato o perché è privo dei documenti, il questore è legittimato ad emettere un nuovo ordine di allontanamento, purché siano indicate le ragioni che impediscono l’attuazione dell’espulsione a mezzo della forza pubblica.

La base giustificativa di tale linea giurisprudenziale non può essere condivisa, in quanto le difficoltà di identificazione dello straniero non possono essere addotte per legittimare la reiterazione dell’ordine del questore, per la duplice ragione che l’ultima parte del co. 5 ter del citato art. 14 esclude il potere di emettere ulteriori intimazioni ai sensi 5 bis, finalizzate all’abbandono volontario del territorio nazionale, e che, comunque, la legge appresta un apposito rimedio per superare dette difficoltà prevedendo il trattamento presso un centro di permanenza, che, secondo il primo comma dello stesso art. 14, è previsto proprio quando siano necessari accertamenti supplementari in ordine all’identità e alla nazionalità dello straniero ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio.

E che questa sia l’unica misura adottabile in vista dell’esecuzione coattiva dell’espulsione è esplicitamente confermato dal co. 5 quinquies dell’art. 14 nella parte in cui stabilisce che al fine di assicurare l’esecuzione dell’espulsione, il questore dispone i provvedimenti di cui al co. 1, vale a dire che nei confronti dello straniero, sottoposto a giudizio con rito direttissimo in stato di arresto o libero, il questore deve disporre il trattamento presso un centro di permanenza in vista dell’esecuzione, dopo la condanna, dell’espulsione a mezzo della forza pubblica.

Di talché, anche sotto tale profilo, mancano spazi interpretativi per sostenere che, successivamente alla condanna, allo straniero possa essere ordinato, ancora una volta, di lasciare volontariamente il territorio dello Stato (in tal senso cfr. Cass., se. I, 14 dic. 2005, dep. 12 gen. 2006, Shumska).

A chiusura delle considerazioni che precedono, è opportuno osservare che seguire l’opposta opinione significa, nella sostanza, innescare una spirale di condanne ed esasperare la carica criminogena della normativa sull’immigrazione clandestina, la cui reale ratio va identificata, piuttosto, nell’intento legislativo di assicurare l’effettività dell’allontanamento dal territorio italiano dello straniero.

Pertanto, considerato che, ai fini dell’ultima parte del co. 5 ter del citato art. 14, alla sentenza di condanna deve essere equiparata quella di applicazione concordata della pena, va riconosciuto che le linee argomentative della sentenza impugnata risultano pienamente rispondenti alla disciplina vigente, onde il tribunale ha correttamente disapplicato l’illegittimo ordine del questore pronunciando l’assoluzione dell’imputata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Roma, 18 mag. 2006.

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2006.

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