Il tenore di vita dei coniugi può essere desunto dalle potenzialità economiche degli stessi.

di | 3 Novembre 2004
In tema di assegno di divorzio, il coniuge richiedente deve dimostrare di non godere più il tenore di vita assicuratogli in costanza di matrimonio e tale tenore di vita ben può essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, originarie e sopravvenute.

Cass. Civ. n. 21080 del 3 novembre 2004

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In questo senso, la Corte territoriale ha:
a) per un verso, con incensurato apprezzamento, dato conto del fatto che la Horst “si è limitata in primo grado ad affermare … l’essere il Ravaglioli proprietario di numerosi immobili e titolare di varie attività turistiche, il che è risultato smentito dalla …documentazione proveniente dall’Ufficio dei Registri Immobiliari”, là dove appunto “risultano a carico del Ravaglioli numerose iscrizioni di ipoteca per concessione di vari decreti ingiuntivi, atti di sequestro immobiliare ed una procedura esecutiva immobiliare”, aggiungendo, quindi, vuoi che “tanto denota una situazione patrimoniale e finanziaria dell’appellante ben diversa da quella ritenuta dai primi giudici come assai florida e “sicuramente compatibile con l’obbligo assistenziale che gli deve fare carico nei confronti della Horst”, vuoi che la stessa difesa di quest’ultima “riconosce nella comparsa di costituzione in giudizio che, sotto l’aspetto oggettivo, il Ravaglioli “non risulta possedere più beni immobili”, anche se afferma trattarsi di una situazione creata artificiosamente, circostanza che non appare assolutamente credibile tenuto conto dell’interesse di un imprenditore ad apparire solvibile onde poter proseguire la propria attività”, vuoi, infine, che “il Ravaglioli, oggi settantenne, dallo svolgimento dell’attività di gestore di un locale da ballo di Marina Romea ricava un reddito modesto, di pochi milioni, secondo quanto risulta dalla documentazione fiscale”;
b) per altro verso, con apprezzamento del pari incensurato, dato conto del fatto che la Horst (di nuovo) “si è limitata in primo grado ad affermare …di svolgere solo attività saltuaria in quanto priva di qualificazione professionale, senza null’altro concretamente dedurre e provare di fronte alla contestazione di controparte”, aggiungendo, quindi, che la medesima, la quale “durante l’unione coniugale coadiuvava il marito nella conduzione di un albergo, convive stabilmente con altro uomo come risulta dalla documentazione anagrafica prodotta”.

A fronte di quanto sopra, appare perciò evidente:
a) che sono destituite di fondamento le doglianze dell’odierna ricorrente là dove questa assume che la Corte territoriale “ha negato l’assegno divorzile richiesto unicamente sulla base dell’affermazione che la situazione patrimoniale dell’onerato non gli consentirebbe di versare all’ex moglie alcuna somma a titolo di assegno, trovandosi lo stesso in una situazione economica assai modesta”, atteso che, come si è visto, le condizioni economiche del Ravaglioli, di per sé frutto di incensurato apprezzamento (secondo guanto pure accennato), ben possono rappresentare “uno” degli elementi (e, nella specie, peraltro, neppure in via esclusiva) comparativamente posti da detto Giudice a base della decisione, onde il vizio di “fuorviante…motivazione” denunziato dalla medesima ricorrente è da ritenere insussistente;
b) che analogamente è a dire riguardo all’ulteriore doglianza della Horst relativa all’apprezzamento, da parte della Corte territoriale, circa la stabile convivenza della Horst stessa con altro uomo, la quale, oltre a non costituire (come si è visto) il solo elemento su cui poggia l’impugnata sentenza, non risulta oggetto di specifica censura né come circostanza in sé, né sotto profili capaci di inficiare quanto implicitamente sotteso, al riguardo, dalla stessa Corte, ovvero proprio il fatto che una simile convivenza, caratterizzandosi per i connotati della continuità e regolarità ovvero essendo adeguatamente consolidata e duratura pur se non assistita da garanzie giuridiche di stabilità, possa, a seguito di un contributo al mantenimento da parte del convivente o, quanto meno, di risparmi di spesa derivanti dalla convivenza medesima, costituire elemento suscettibile di valutazione in ordine alla disponibilità, da parte del richiedente, di mezzi adeguati rispetto al tenore di vita goduto durante il. matrimonio e di acquisire, perciò, rilievo fra i fattori capaci di incidere su siffatta adeguatezza (Cass. 9 aprile 2003, n.5560; Cass. 8 agosto 2003, n.11975; Cass. 8 luglio 2004, n.12557).

Il ricorso principale, pertanto, deve essere rigettato.

Con l’unico motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente incidentale violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art.91 c.p.c., deducendo che la Corte territoriale, pur accogliendo in pieno le istanze del Ravaglioli, non abbia fatto discendere da tale pronuncia le necessarie conseguenze in tema di disciplina delle spese secondo il principio di soccombenza, essendosi invece limitata a riformare la sentenza del Tribunale sul punto ed avendo disposto la compensazione delle spese stesse in entrambi i gradi di giudizio, laddove una simile statuizione non può trovare giustificazione né sulla base della qualità delle parti (o, quanto meno, non su quella della Horst), né sulla scorta dell’individuazione dell’oggetto del contendere.

Il motivo è inammissibile.

In tema di regolamentazione delle spese processuali, infatti, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art.91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa, laddove la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della sussistenza di altri giusti motivi e, pertanto, esula dal sindacato anzidetto, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie (Cass. 13 febbraio 2002, n.2066; Cass. 24 luglio 2002, n.10861; Cass. 2 agosto 2002, n.11597; Cass. 1° ottobre 2002, n.14095; Cass. 14 novembre 2002, n.16012; Cass. 15 novembre 2002, n.16057; Cass. 17 gennaio 2003, n.633; Cass. 17 dicembre 2003, n.19309).

Nella specie, quindi, poiché il Ravaglioli, lungi dal prospettare doglianze di tal genere, ha ritenuto invece di contestare la fondatezza dei motivi (“qualità soggettiva delle parti” ed “oggetto del contendere”) posti dalla Corte territoriale a base della relativa statuizione, deducendo che quest’ultima non possa trovare giustificazione in motivi siffatti, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale.

La natura della controversia e la stessa reciproca soccombenza giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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