Risarcimento del danno da emotrasfusione

di | 25 Marzo 2003

Sentenza Tribunale Civile di Roma, Sez. II, 25 marzo 2003

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA
SEZIONE SECONDA

in persona del dr. Sergio Pannunzio ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 73599 del R.G.A.C.C. dell'anno 2000, trattenuta in decisione nell'udienza del 15.01.03 e vertente

TRA

XXX elettivamente dom.to in Roma, via G. Spontini 11, presso lo studio dell'avv.to A. Clemente, che lo rappresenta e difende per procura a margine della citazione

ATTORE

E

Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t. elettivamente dom.to in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis

CONVENUTO

OGGETTO: responsabilità extracontrattuale della p.a

CONCLUSIONI

All'udienza di precisazione delle conclusioni del 15.01.03 il procuratore di parte attrice concludeva come da verbale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 10.11.00 XXX conveniva in giudizio il Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute) al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito in seguito alle trasfusioni di sangue effettuate tra il 1988 ed il 1989 quando fu ricoverato presso l'Università di Roma La Sapienza e presso la Clinica S.Anna di Pomezia a causa delle quali gli fu diagnosticata nel gennaio 1996 una infezione epatica definita come epatite C.
Aveva, quindi, presentato domanda di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 ed era stato sottoposto a visita dalla apposita Commissione medica ospedaliera che aveva riconosciuto il nesso di causalità tra le trasfusioni e l'infermità contratta. Chiedeva, pertanto, la condanna dell'amministrazione convenuta al risarcimento del danno patrimoniale, biologico, morale ed esistenziale nella misura da liquidarsi in corso di giudizio, oltre rivalutazione ed interessi.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Salute eccependo la prescrizione ed il proprio difetto di legittimazione passiva; nel merito, contestava la fondatezza dell' avversa domanda chiedendone il rigetto.
Espletata CTU, venivano precisate le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'amministrazione convenuta ha eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni risalendo il fatto contestato all'anno 1988/89 ed essendo, quindi, decorso il termine di cinque anni ex art. 2947 c.c.
L'eccezione va disattesa in quanto il dies a qua di decorrenza del termine corrisponde non già agli anni 1988/89 in cui l'attore subì le trasfusioni, bensì al mese di marzo 2000, quando l'attore ha ricevuto la comunicazione del Ministero convenuto avente ad oggetto la notifica del giudizio della Commissione medica ospedaliera di Roma in cui veniva riconosciuta l'esistenza del nesso causale.
Anche a voler far decorrere il termine prescrizionale dal gennaio 1996, quando il XXX ebbe conoscenza di essere affetto dalla malattia, esso non sarebbe comunque decorso, atteso che l'atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato nel novembre 2000, mentre i cinque anni scadevano nel gennaio 2001.
Infondata è anche l'eccezione di difetto di legittimazione passiva (Cfr. C. Appello Roma n. 3242/00, Trib.Roma sent. del 27.11.98 e 14.06.01): ed invero, alla fonte normativa che integra la norma primaria del neminem ledere, costituita dall'art. 1 della legge n. 296 del 1958, che attribuisce al Ministero della Salute il compito di "sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle amministrazioni autonome dello Stato e dagli enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento…; emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari" fa da corollario una serie di disposizioni normative (L. 992/67, DPR 1256171, D.M. Salute 17.02.72 e 15.09.72, L 519/73, L 833/78, L 531/87, L. 107/90, D.lovo 178/91, D.M. Salute 12.06.91, D. lovo 502/92, D. Lvo 267/93, D. Lvo 268/93, D. Lvo 449/97, D. lovo 112/98) che confermano in capo al Ministero della Salute un ruolo attivo nell'approvvigionamento, controllo e vigilanza nella produzione e distribuzione del sangue e dei suoi derivati da destinare al consumo umano, al quale corrisponde un dovere aggravato di diligenza nell'impiego delle cure ed attenzioni necessarie alla verifica della sua sicurezza.
Il Ministero contesta l'ammissibilità della domanda sul presupposto della vigenza di una disciplina specifica che prevede a carico dello Stato il pagamento di un indennizzo destinato a coprire almeno in parte i danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati
Ritiene al riguardo il giudicante che la suddetta tutela indennitaria non preclude l'azione risarcitoria di diritto comune, non perdendo il danneggiato il diritto di conseguire il risarcimento del danno integrale quando ne ricorrano i presupposti (Cfr. Corte. Cost. n. 307/90, 118/96, 27/98, 423/00; Cass. N. 13923/00; C. App. Milano 22.10.96); trattasi, infatti, di normativa (L n. 210 del 1990 e L. n. 237 del 1997) che ha introdotto un sistema di sicurezza sociale con finalità solidaristica (artt. 2 e 32 Cost.) destinato a garantire a coloro che abbiano subito danni nell'esercizio di attività di cura promosse ovvero gestite dallo Stato e necessarie per la tutela della salute pubblica il riconoscimento di un indennizzo pecuniario valutato in via equitativa e non destinato a coprire l'intero danno, così esonerando la parte dall'accidentato percorso dell'azione di responsabilità civile di cui all'art. 2043 cc..
Passando al merito, si osserva in relazione al nesso di causalità, che la sua sussistenza è già stata riconosciuta dalla Commissione medica ospedaliera; peraltro, anche il CTU ha osservato che il XXX è stato emotrasfuso almeno due volte prima del 1992 (quando la disponibilità di test più sensibili ha notevolmente diminuito le possibilità di contagio) e rientra, quindi, in un gruppo ad alto rischio. Ne consegue che è molto verosimile che l'attore abbia contratto l'infezione HCV in occasione di una delle due succitate trasfusioni di sangue, anche se nella storia clinica del paziente sono presenti altri rischi di esposizione all'infezione, rappresentati da un tatuaggio e dall'epatite B, presente fin dal 1988: trattasi, però, fattori molto meno significativi e concreti del rischio maggiore (e prevalente) di contrarre il virus HCV con le emotrasfusioni effettuate.
Ed invero, in sede di accertamento, sulla base di una valutazione medico-legale, circa l'esistenza o meno di un nesso di derivazione causale di un evento da una determinata situazione di rischio – valutazione in cui il riscontro di un rilevante, qualificato, grado di probabilità è sufficiente per ritenere sussistente il nesso causale – una volta accertata la possibilità sul piano scientifico della derivazione causale rilevante ai fini del diritto alla prestazione, deve essere effettuato il confronto probabilistico tra i diversi ipotizzabili fattori causali (Cfr. Cass. 10004/01); ed ancora, con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità tra lesione personale ed un intervento chirurgico, al fine dell'accertamento di eventuali responsabilità risarcitorie dell'autore dell'intervento, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie quando manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti (Cfr. Cass. 632/00).
Alla luce di tali considerazioni si ritiene, dunque, sussistente nella fattispecie il nesso di causalità.
In ordine all'elemento soggettivo, si rileva che il comportamento colpevole del Ministero convenuto nel caso in esame vada ravvisata per omissione o, quantomeno, insufficienza della vigilanza sulla sicurezza del sangue (importato dall'estero ovvero raccolto senza controllo sulla qualità dei donatori) distribuito per il tramite del Servizio Sanitario Nazionale; va, al riguardo, rilevato che, indipendentemente dalla diversa epoca in cui furono messi a punto i diversi metodi di identificazione dei singoli virus, la pericolosità del sangue – come veicolo di possibili infezioni virali – era ben nota fin dai primi anni settanta.
Per quanto concerne, poi, il danno subito dall' attore, dalla consulenza tecnica d'ufficio, esaurientemente motivata ed esente da vizi logici o giuridici, è emerso che il XXX è affetto attualmente da epatite C.
Bisogna, ora, procedere alla determinazione del danno risarcibile ex artt. 2043 e 2059 cc.
Quanto al danno biologico, inteso come menomazione dell'integrità psicofisica in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore della persona in tutta la sua concreta dimensione, il CTU ha osservato che il XXX è affetto da una epatite cronica moderata HCV il cui decorso sembra indolente e sub_clinico, senza significativa alterazione dei valori di transaminasi, che nelle forme più aggressive superano di almeno tre volte il valore normale. Il consulente d'ufficio ha, inoltre, correttamente tenuto conto del precedente morboso concorrente, rappresentato dall'infezione epatica HBsAg+, concludendo per una invalidità dell’11-12%.
Parte attrice contesta tale valutazione ritenendo giusto riconoscere una percentuale del 40-50%; osserva il giudicante che irrilevanti sono le valutazioni espresse dai. consulenti d'ufficio in altre controversie essendo ogni caso clinico diverso dagli altri; quanto ai possibili rischi futuri di cirrosi epatica, nella relazione peritale si rileva che il profilo clinico dell'epatopatia cronica di cui è affetta la parte attrice non è foriero di una evoluzione cirrotica.
Si ritiene, dunque, di dover liquidare, in via necessariamente equitativa, aderendo alla valutazione del CTU col riconoscimento di un grado di invalidità del 12% e tenuto conto del fatto che all'epoca dell'illecito (1989) l'attore aveva 34 anni, l'importo di € 16.320,00 al valore attuale, applicando la tabella di riferimento elaborata da questo Tribunale.
Compete, altresì, all'istante il danno morale, risultando configurabili nella fattispecie i presupposti previsti dall'art. 2059 c.c. A tale titolo, avuto riguardo alle caratteristiche della malattia e delle sue conseguenze a carico del danneggiato, si ritiene equo liquidare la somma di € 5.440,00 al valore attuale, pari ad 1/3 del danno biologico.
Quanto alle richieste di liquidazione del danno esistenziale e di quello patrimoniale, nulla si riconosce trattandosi di domande che dovevano essere provata da parte attrice; in merito al primo, il CTU ha rilevato che il XXX nulla ha riferito circa il pregiudizio subito da particolari attività, diverse dalle normali attività esistenziali, derivante dall'epatopatia cronica. Quanto, poi, al danno patrimoniale, il CTU ha osservato che la malattia da cui è affetto l'attore potrebbe rappresentare una preclusione per l'esecuzione di lavori particolarmente pesanti; era, però, onere dell'attore allegare e provare la sussistenza in concreto di un pregiudizio economico derivante da tale preclusione.
A parte attrice va liquidato, invece, il danno per lucro cessante (in tal senso deve interpretarsi la domanda relativa agli interessi sulla somma capitale rivalutata) conseguente alla mancata disponibilità della somma dovuta per il periodo intercorso dalla data dell'illecito alla presente decisione e consistente nella perdita di frutti civili che il danneggiato avrebbe potuto ritrarre – ove la somma fosse stata corrisposta tempestivamente – dall'impiego dell'equivalente monetario del valore economico del bene perduto, con l'attribuzione di interessi a un tasso non necessariamente coincidente con quello legale (cfr. Cass. 7272/97, 10300/01).
A tal fine, tenuto conto della differenza nel periodo di riferimento tra tasso medio di rendimento degli investimenti mobiliari e tasso di inflazione secondo gli indici ISTAT del costo della vita, deve riconoscersi, in via necessariamente equitativa ex art. 2056, 2° comma, c.c., un ulteriore 3% annuo – in assenza di elementi che consentano di presumere un impiego maggiormente remunerativo della somma -, assumendo come base di calcolo la somma intermedia tra il valore del bene perduto alla data dell'illecito (€ 13.520,00 nel 1989) ed il valore dello stesso rivalutato ad oggi (€ 2 L 7 60,00): si ottiene cosi un ulteriore importo di € 7.410,00, dovuto a titolo di lucro cessante. Ne consegue la condanna del Ministero convenuto a corrisponde all'attore l'importo di € 29.170,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza a quella di effettivo pagamento.
Le spese relative alla CTU, per € 1.608,99, vanno poste in via definitiva a carico del Ministero convenuto. Alla soccombenza segue la condanna del Ministero della Salute al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

PQM

il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

a)- condanna il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, a corrispondere a XXX la somma di € 29.170,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo;

b)- pone le spese per la Consulenza Tecnica d'Ufficio, pari a complessive € 1.608,99, definitivamente a carico del Ministero della Salute;

c)- condanna, infine, il Ministero della Salute, in persona come sopra, al pagamento delle spese di lite in favore di parte attrice, che liquida in € 214,64 per spese, € 1.357,35 per diritti e € 4.406,43 per onorari, oltre spese generali, IV A e CAP come per legge.

Roma, 25.03.03

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