Corte App. Bari 18.1.2002, n.1604

di | 28 Gennaio 2002

Rapporto di lavoro subordinato – criteri distintivi – nomen juris adoperato dalle parti – è irrilevante se in contrasto con il concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Bari ‑ Sezione del Lavoro ‑ composta dai Magistrati:

1) Dott. Donato BERLOCO Presidente Relatore
2) Dott. Michele CRISTINO Consigliere
3) Dott. Pietro CURZIO Consigliere
ha emesso la seguente SENTENZA N.1604

nella causa di lavoro in grado di appello per “riconoscimento lav. subordinato”, iscritta nel Ruolo Generale Lavoro, sotto il numero d’ordine 1730/2000.

TRA

Ditta “Linea Intimo” di Carpentieri Rosalba & C. S.n.c. assistita e difesa dall’Avv. R. Reale

-APPELLANTE ‑

Lauriola Fortunata assistita e difesa dall’Avv. Capotorto

-APPELLATA ‑

all’udienza collegiale del 20/12/2001 la causa veniva discussa e decisa sulle conclusioni delle parti in narrativa precisate.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 3/6/94, Lauriola Fortunata, assumendo di aver lavorato come dipendente della S.n.c. Linea Intimo ininterrottamente dal 10/5/88 al 31/3/93, nonostante la sottoscrizione di un contratto di collaborazione avvenuta il 21/7/88; di aver prestato la sua attività, inquadrabile nel III liv. contrattuale, per otto ore al giorno, sabato incluso, ed escluso il lunedì mattina, turno di chiusura settimanale; di avere, pertanto, diritto alle somme che analiticamente indicava; chiedeva al Pretore G.L. di Foggia, sezione distaccata di Manfredonia, la condanna della predetta società al pagamento, in suo favore, per le spiegate causali, di complessive £ 75.509.250 di cui £ 10.214.863 quale t.f.r., oltre accessori di legge, nonché al pagamento delle spese legali.

Nel rituale contraddittorio che seguiva, la S.n.c. Linea Intimo contestava la fondatezza della domanda, in quanto tra le parti era intercorso solo un rapporto di collaborazione di tipo autonomo dal 21/7/88. Infatti, la Lauriola non osservava alcun orario di lavoro predeterminato, vendeva anche capi di sua proprietà nel negozio e provvedeva anche ad effettuare ordini di merce.

Deduceva, la società, che il rapporto era cessato il 31/12/92, in quanto la Lauriola si era dichiarata non soddisfatta dell’andamento commerciale del negozio. Concludeva, pertanto, per il rigetto con ogni conseguenza di legge.

Assunte le prove testimoniali, l’adito Giudice del lavoro in parziale accoglimento della domanda, condannava la S.n.c. Linea Intimo al pagamento, in favore di Lauriola Fortunata, della somma di complessive £ 40.171.070, per le causali di cui al ricorso, ad eccezione della domanda per lo straordinario, che rigettava, nonché al pagamento del t.f.r. da calcolarsi sul credito riconosciuto a titolo di differenze retributive; il tutto, oltre accessori di legge; condannava la resistente al pagamento delle spese legali con distrazione.

Avverso detta pronuncia, proponeva appello la ditta Linea Intimo di Carpentieri Rosalba, la quale insisteva che il ricorso introduttivo era da ritenersi nullo, perché non indicava il c.c.n.l., né gli elementi posti a base del calcolo delle pretese economiche; che infondato era nel merito, in quanto in mancanza di altri elementi che potessero propendere per il rapporto di lavoro subordinato, rilevava la volontà contrattuale delle parti, consacrata nel documento.

Sottolineava che la Lauriola aveva una partita IVA, un locale in locazione per la vendita di biancheria, l’iscrizione nel registro “Esercenti il commercio al minuto”, praticava la vendita in proprio di capi di abbigliamento nel corso del rapporto di lavoro; elementi questi compatibili con l’associazione m partecipazione, come, peraltro, emergeva dalle deposizioni dei testi. Denunciava l’inattendibilità di alcuni testi in ordine alla durata del rapporto di lavoro.

Concludeva per la nullità del ricorso introduttivo del giudizio ed, in subordine, per il rigetto integrale delle domande formulate dalla controparte, con vittoria di spese del doppio grado del giudizio.

Chiedeva ed otteneva la sospensione della esecutorietà dell’impugnata sentenza nei limiti di legge.

Resisteva al gravame l’appellata, la quale, deducendone l’infondatezza, ne chiedeva il rigetto e spiegava appello incidentale per ottenere, sia pure in via equitativa, il compenso per il lavoro straordinario effettuato, oltre a quanto già statuito in sentenza dal primo giudice.

Assumeva che il quantum non era stato né contestato, né formava oggetto di appello, svolgendosi il gravame principale tutto sull’an debeatur.

Concludeva per la condanna dell’appellante principale al pagamento, in favore della Lauriola, della somma originariamente richiesta, con rivalutazione monetaria ed interessi, da calcolarsi sulla scorta del principio enunciato con sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, n. 38/2001, con vittoria di spese di questo grado del giudizio distraende.

In data odierna, la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo letto in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Entrambi gli appelli sono infondati.
Osserva il Collegio che non può ritenersi nullo il ricorso introduttivo quando consente di individuare elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda da una lettura globale dell’atto.

La ricorrente, infatti, ha dedotto di aver lavorato alle dipendenze della convenuta per un precisato periodo di tempo, di aver svolto mansioni inquadrabili nel terzo livello retributivo dal c.c.n.l. del Commercio.

Ha precisato anche che, al di là del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, il rapporto si era svolto con le modalità della subordinazione, indicando anche gli strumenti di prova.

In altri termini, ha chiarito, la ricorrente tutto quello che era necessario a supportare la sua domanda.

Quanto al merito, già il contratto sottoscritto dalle parti contiene i sintomi della subordinazione nel rapporto che le parti andavano ad instaurare:

“l’impegno di fare tutto quanto necessario per un efficiente funzionamento del negozio in conformità alle norme vigenti e alle direttive ed istruzioni che l’amministratrice della società riterrà opportune”; l’impegno della società resistente “a corrispondere alla signora Lauriola Fortunata un compenso annuo di £ 7.200.000, oltre una percentuale sugli incassi”; il diritto della ditta “di provvedere direttamente alla dotazione del negozio”; l’obbligo della lavoratrice “di presentare rendiconto dei risultati dell’attività svolta e delle giacenze dei prodotti ogni qualvolta ne venga richiesto dall’amministratrice della società”; la società avrebbe provveduto alle “spese di esercizio, comprese imposte, tasse e tributi di qualsiasi genere e natura”.

Sicché, al di là del “nomen juris” adoperato, in realtà si era stipulato un contratto di lavoro subordinato, con l’inserimento della ricorrente nell’organizzazione aziendale, con una prestazione personale, senza mezzi strumentali propri, senza rischio, a compenso fisso e variabile incentivante.

Si stenta inoltre ad individuare il risultato, oggetto del presente contratto di natura autonoma, in quanto si sarebbe sostanziato “in tutto quanto fosse necessario per un efficiente funzionamento del negozio in conformità delle norme vigenti e (soprattutto) sulla base delle direttive ed istruzioni che 1’amministratrice della società avrebbe ritenuto opportune, senza però preoccuparsi della dotazione del negozio, a cui avrebbe provveduto 1’amministratrice.

In definitiva la Lauriola avrebbe dovuto con correttezza mettere a disposizione le sue energie lavorative per il buon andamento dell’esercizio commerciale sotto i poteri direttivi, organizzativi e di controllo dell’amministratrice della società; indici questi, di chiara subordinazione della lavoratrice nel concreto svolgersi del rapporto (Cass.n.7885/97).

La Corte Costituzionale ha statuito che “i principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato debbono trovare applicazione ogni qualvolta vi sia nei fatti quel rapporto economico‑sociale al quale i primi sono stati dalle stesse riferiti, né al legislatore, né alle parti può essere consentito escludere direttamente o indirettamente l’applicabilità della disciplina inderogabile a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esercizio propri di quello subordinato” (sent.n.115 del 31/7/1994).

Detti principi stanno a contrastare chiaramente i fittizi contratti di collaborazione autonoma, firmati dalla parte debole, in un contesto di penuria di posti di lavoro.

Aderendo a questi principi la Suprema Corte ha messo in rilievo, ai fini della qualificazione della prestazione lavorativa, il concreto atteggiarsi e le modalità esecutive della stessa (vedi Cass. Sent. n. 7931/2000).

D’altro canto, la funzione del contratto di lavoro autonomo, che non si attaglia nella specie, si concreta, invece, in una attività che si svolge per il conseguimento di un risultato fuori dell’intervento dell’altra parte, legittimata soltanto al controllo della buona esecuzione dell’opera (vedi Cass.n.3239/81).

Che trattasi di un contratto scritto finalizzato ad evitare che si costituissero in favore della lavoratrice diritti rivendicati dalla prestazione in regime di subordinazione, si deduce dal fatto che esso venne sottoscritto quando già il rapporto si era instaurato da qualche mese cioè dal maggio 1988, come hanno affermato i testi De Candia e Notarangelo.

E’ vero che la teste De Candia è una teste “de relato”, ma è pur vero che la sua deposizione trova una verifica in quella del Notarangelo.

La teste ha dichiarato, infatti, che la ricorrente le aveva parlato di un contratto che le aveva fatto sottoscrivere la Carpentieri, dopo qualche mese dalla sua assunzione, perché non la volevano assumere regolarmente e quindi le avrebbero dato un po’ di più (di retribuzione) e non provvedevano alla assunzione. Sapeva, la teste, che si trattava di un contratto che “metteva a posto la titolare”, sottraendosi a tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato.

D’altronde, la prederminazione dei prezzi di vendita della merce, la scelta a monte degli acquisti e delle forniture della amministratrice, il vincolo a un determinato orario di lavoro, con compenso fisso mensile, e la mancanza di abilitazione a praticare sconti, sono tutti indici più che significativi incompatibili con un rapporto di collaborazione autonoma ovvero di associazione in partecipazione.

La presenza giornaliera della Carpentieri nel negozio, sia pure per qualche ora, stava indubbiamente a significare una vigilanza ed un controllo sull’andamento dell’esercizio, della attività lavorativa della Lauriola.

In contrasto, poi, con la natura autonoma del rapporto si pone decisamente la deposizione del teste Notarangelo, il quale ha riferito che, quando si sposò, la Lauriola e il marito ebbero a dirgli “che ben difficilmente sarebbero stati presenti, perché la Lauriola non poteva ottenere la giornata libera dal negozio, dove lavorava. Il teste approfittando che era cliente e conosceva la proprietaria Rosalba, si recò da lei, per intercedere al fine di far concedere la giornata libera a Fortunata, ma purtroppo non ci riuscì.

In definitiva, vi sono tutti gli elementi della subordinazione del rapporto dedotto in causa. E’ risultato accertata la sua durata e le mansioni svolte inquadrabili nel III livello retributivo del c.c.n.l. per il Commercio.

Stante la mancata specifica contestazione del quantum debeatur, va confermata la liquidazione fatta dal primo giudice.

Non può, inoltre, condividersi la tesi difensiva svolta dall’appellata con l’appello incidentale avente per oggetto il preteso compenso per il lavoro straordinario, in quanto questo non ha trovato una verifica con rigore, come da costante giurisprudenza della Cassazione, né può accedersi ad una liquidazione equitativa in carenza di una specifica dimostrazione di quante domeniche nelle quali la ricorrente avesse lavorato, o della protrazione dell’orario giornaliero, né per quanti giorni festivi avesse prestato la sua attività.

La Suprema Corte di Cassazione più volte ha statuito che il lavoro straordinario va rigorosamente provato per potersi accedere alla liquidazione del relativo compenso e per questo esso non è suscettibile di liquidazione equitativa.

Sulla base delle suesposte considerazioni, è giusto rigettare entrambi gli appelli e compensare interamente tra le parti le spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Bari, Sezione del lavoro, uditi i procuratori delle parti, rigetta l’appello proposto dalla ditta Linea Intimo di Carpentieri Rosalba & C. S.n.c. con ricorso del 25/11/2000 avverso la sentenza del 22/9/2000 del Tribunale di Foggia nei confronti di Lauriola Fortunata, nonché l’appello incidentale da quest’ultima proposto con memoria dell’1/3/2001 e compensa interamente tra le parti le spese di questo grado del giudizio.

Così deciso in Bari, nella Camera di consiglio il 20/12/2001

IL PRESIDENTE RELATORE

(F.to: dr. Donato Berloco)

Depositato in Cancelleria

Il 18 gennaio 2002

Lascia un commento