Sentenza 17 febbraio 2003, n. 7772

di | 17 Febbraio 2003

Corte di cassazione

Sezione VI penale

FATTO

Con sentenza emessa il giorno 23/10/2001 il GUP del Tribunale di Campobasso dichiarava non luogo a procedere perché il fatto non sussiste nei confronti di R.A. in ordine al reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 314, comma 2, c.p. per essersi, in qualità di dipendente del Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Molise di Campobasso, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, appropriata momentaneamente del telefono affidatole in ragione del suo ufficio, effettuando 11 chiamate per motivi personali dal 6 aprile al 27 maggio 1998.

Rilevava il GUP che la sporadicità e l'importo esiguo delle telefonate escludevano il configurarsi di quel comportamento uti dominus, che deve caratterizzare anche la condotta appropriativa di cui alla nuova ipotesi del peculato d'uso previsto dal comma 2 dell'art. 14 del c.p.

Propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso, deducendo che lo schema normativo del nuovo peculato d'uso non consente di escludere dal suo spazio applicativo, in ragione degli elementi di fatto indicati dal GUP, la condotta ascritta al prevenuto.

DIRITTO

Deve rilevarsi che a seguito della novella del 1990, il delitto di peculato è previsto solo in relazione alla condotta di appropriazione, consistente, come è noto, nel comportarsi nei confronti della cosa altrui, di cui sia abbia il possesso o la disponibilità per ragioni di ufficio o servizio, uti dominus, attuando un'inversione del titolo del possesso (cfr., fra le altre, Cass. 10/6/1993, PM c. Ferolla).

L'introduzione, poi, dell'ipotesi del peculato d'uso di cui al comma 2 del nuovo art. 314 c.p. ha identificato una condotta nella quale l'uso della cosa è affermativo di un agire uti dominus senza il carattere della definitività.

Tale figura delittuosa, che si applica, secondo la giurisprudenza prevalente, solo alle cose di specie, si risolve nell'uso provvisorio della cosa in difformità della destinazione datale nell'organizzazione pubblica.

In tale fattispecie viene inquadrato, nel capo di imputazione contestato alla R., l'utilizzo per chiamate private da apparecchi telefonici fissi in dotazione all'ufficio.

Tale inquadramento, però (pur avallato da Cass. 25/1/1996, P.M. C. Catalucci), non appare condivisibile.

La natura degli impulsi elettronici occorrenti per la trasmissione della voce consente, infatti, di ravvisare nell'ipotesi in discorso una vera (definitiva) appropriazione, posto che l'art. 624, comma 2, c.p. dispone che agli effetti della legge penale si considera cosa mobile anche l'energia elettrica ed ogni altra energia che abbia valore economico.

Quando, invero, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, disponendo, per ragioni dell'ufficio o del servizio, dell'utenza telefonica, intestata all'amministrazione, la utilizza per effettuare chiamate di interesse personale, il fatto lesivo si sostanzia propriamente non nell'uso dell'apparecchio telefonico quale oggetto fisico, bensì nell'appropriazione, che attraverso tale uso si consegue, delle energie, entrate a far parte della sfera di disponibilità della P.A., occorrenti per le conversazioni telefoniche.

Tale ricostruzione conduce ad inquadrare astrattamente l'ipotesi in esame nel peculato ordinario, di cui al primo comma dell'art. 314 c.p., posto che non sono immediatamente restituibili, dopo l'uso, le energie utilizzate (e lo stesso eventuale rimborso delle spese corrispondenti all'entità dell'utilizzo non potrebbe che valere come mero ristoro del danno arrecato).

Ciò chiarito in via generale deve però osservarsi che, nel concreto assetto dell'organizzazione pubblica è individuabile un ambito in cui l'utilizzo della linea telefonica dell'ufficio per l'effettuazione di chiamate personali non esula dai fini istituzionali e non realizza, quindi, l'evento appropriativo suddescritto.

Si tratta delle situazioni in cui il pubblico dipendente sia sollecitato, durante l'espletamento della sua prestazione, da impellenti esigenze di breve comunicazione privata, la cui soddisfazione tramite l'utenza dell'ufficio assicura, nell'interesse della stessa amministrazione, una migliore correttezza del servizio e la salvaguardia della serenità dell'ambiente di lavoro.

Rileva in particolare a riguardo, in riferimento all'epoca dei fatti, il codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni approvato con decreto del Ministro per la funzione pubblica del 31 marzo del 1994 (in G.U. 26/6/1994, n. 149), nel quale è espressamente previsto (prima parte comma 5, art. 10 cit. d.m.) che in casi eccezionali il dipendente può effettuare chiamate personali dalle linee telefoniche dell'ufficio, dando l'informativa al Dirigente dell'ufficio (adempimento quest'ultimo di carattere formale, che, al di là delle conseguenze disciplinari che possono derivare dalla sua violazione, chiaramente non condiziona l'autonoma e sostanziale rilevanza derogatoria, ai fini del discorso che qui interessa, del caso eccezionale).

Applicando i principi illustrati al caso di specie, non può che escludersi la rilevanza penale, stante quanto ragionevolmente apprezzato in fatto (senza necessità di ulteriori accertamenti) dal giudice di merito in ordine all'evidente carattere sporadico e occasionale (e perciò eccezionale) delle telefonate effettuate dalla prevenuta.

Il ricorso del PM deve, pertanto, essere rigettato.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 616 c.p.c., rigetta il ricorso.

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