L’assegnazione della casa coniugale non ha funzione di perequazione economica

di | 11 Giugno 2005
L’assegnazione della casa familiare e’ finalizzata alla protezione della prole e non e’ prevista in funzione della debolezza economica di uno dei coniugi, alle cui esigenze e’ destinato l’assegno divorzile, e trova ulteriore conforto nella considerazione che una diversa interpretazione comporterebbe la sostanziale espropriazione del diritto di proprieta’, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del titolare (o del contitolare) e porrebbe in discussione la legittimita’ della disposizione normativa che tale assegnazione contempla, in quanto la modifica del relativo provvedimento non sarebbe piu’ correlata al raggiungimento della maggiore eta’ ed alla indipendenza economica dei figli.
Corte di Cassazione Sentenza 11 giugno 2005 n. 12382.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 7 gennaio 1993, *** domando’ al Tribunale di Trento di dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto con *** e di assegnargli la piena disponibilita’ della casa coniugale di via *** di esclusiva sua proprieta’,non opponendosi all’attribuzione alla ex moglie di altro appartamento, in comproprieta’, sito in quella via ***.

Con citazione notificata il 14 luglio 1993, la *** convenne l’ex marito davanti al medesimo tribunale, cui chiese di accertare il di lei diritto di comproprieta’ al 50% sull’appartamento di via *** o, in subordine, di assegnarglielo in uso, nonche’ di disporre la divisione dei beni ricadenti nella comunione legale.

Riunite le cause e dichiarata, con sentenza parziale, la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra le parti, il tribunale adito, con sentenza definitiva, ritenne il predetto appartamento rientrante nella comunione legale in quanto il trasferimento del relativo diritto di proprieta’ in capo al *** da parte della societa’ Cooperativa *** *** era avvenuto con atto notarile del 10 novembre 1992, in epoca antecedente al passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale; dichiaro’ lo scioglimento della comunione su detto immobile, assegnandolo alla *** con onere di pagamento di un conguaglio di lire 153.040.000 in favore del *** cui assegno’ l’appartamento di via *** rigetto’ la domanda di riconoscimento di un assegno divorzile in favore della ***.

Decidendo sul gravame principale del *** e su quello incidentale della *** la Corte d’appello di Trento, dichiarato che l’appartamento di via *** entro’ a far parte della comunione legale, confermo’ lo scioglimento di questa e, rigettando ogni domanda di assegnazione dell’immobile in base alla legge sul divorzio, determino’ due lotti ai fini della divisione con l’onere di pagamento di un conguaglio a carico dell’aggiudicatario del predetto immobile e stabili che l’assegnazione dei lotti avvenisse mediante estrazione a sorte, delegando per la relativa operazione un notaio. A sostegno delle adottate statuizioni, e con riferimento ai temi ancora controversi, osservo’ che era indubbiamente errata, come lamentato dall’appellante principale, l’affermazione del primo giudice secondo cui la sentenza di separazione era passata in giudicato dopo la stipula dell’atto notarile di trasferimento dell’appartamento di via ** essendo stata invece notificata in data 9 maggio 1992 alla ***. Peraltro, sia pure con diversa motivazione, andava ribadito il diritto di comproprieta’ della *** relativamente al predetto immobile con la quota del 50%. Poiche’, infatti, la *** era una cooperativa a finanziamento pubblico, in forza dell’art. 229 del R.D. n. 1165 del 1938, il socio acquista irrevocabilmente la proprieta’ dell’alloggio con la stipulazione del contratto di mutuo individuale nella specie, era pacifico che il *** dopo il frazionamento del finanziamento ottenuto dalla cooperativa per costruire l’edificio comprendente l’unita’ abitativa in questione, si era accollata la pertinente quota di mutuo prima dell’autunno del 1983; ne conseguiva che il ripetuto immobile era entrato nel patrimonio del *** e, quindi, ex art. 177 c.c., nella comunione legale proprio a quella data; nessuna rilevanza in senso contrario assumeva il fatto che l’intavolazione della proprieta’ in capo al *** fosse avvenuta solo a seguito della stipula dell’atto notarile del novembre 1992, in quanto la regola secondo cui nel regime tavolare l’iscrizione nei libri fondiari ha valore costitutivo per gli acquisti inter vivos e’ funzionale alla tutela dei terzi, ma non puo’ assumere uno specifico significato nei rapporti interni tra coniugi, nel caso in esame, oltretutto, l’atto utile all’intavolazione avrebbe potuto essere stipulato fin dall’emanazione della delibera del Consiglio di Amministrazione del 3 aprile 1986, essendosi gia’ verificato il passaggio di proprieta’ diversamente, il coniuge interessato avrebbe l’arbitraria facolta’ di decidere se e quando un bene, pacificamente acquistato la regime di comunione con l’apporto economico dell’altro, debba entrare a far parte della comunione medesima. Andava confermato il mancato riconoscimento dell’assegno divorzile, attesa la posizione economica degli ex coniugi in linea di massima paritaria e tale da consentire a ciascuno di conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, rimanendo a tal riguardo irrilevante, e comunque non adeguatamente provata, l’incidenza del regresso stato di malattia della *** D’altra parte, sulla base del disposto del sesto comma dell’art. 5 della legge n. 898/1970 (e successive modifiche), una volta esclusa la sussistenza di una sperequazione economica tra coniugi, resta del pari irrilevante che il divorzio sia scaturito da una separazione giudiziale con addebito all’ex marito, potendo tale circostanza essere valutata solo ai fini della quantificazione dell’assegno. In relazione alla richiesta di divisione dei beni della disciolta comunione legale e alla contrapposta pretesa delle parti di ottenere in assegnazione la casa di via *** era indispensabile far ricorso a criteri oggettivi per l’attribuzione dei due lotti costituiti, rispettivamente, da detto immobile con l’onere di pagamento di conguaglio e dall’appartamento di via *** integrato dal corrispondente conguaglio. Preso atto del disaccordo delle parti in merito all’attribuzione dei beni, era inevitabile procedere, in esito al passaggio in giudicato della decisione, all’estrazione a sorte dei lotti, delegando a tal fine per l’operazione un notaio.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione *** affidandone l’accoglimento a tre motivi.
Resiste con controricorso *** che ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale per un motivo.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I due ricorsi, diretti contro una medesima decisione, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del suo ricorso, *** denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 229 r.d.n. 1165/1938 e dagli artt. 177 e 191 c.c.. Dato che l’accollo del mutuo era dipeso dal frazionamento dell’originario mutuo collettivo, e’ evidente, sostiene che, a norma del citato art. 229, il diritto di proprieta’ dell’alloggio di via *** si e’ trasferito in capo a esso ricorrente solo al momento della stipula dell’atto notarile, avvenuta il 10 novembre 1992 e, quindi, successivamente alla cessazione della comunione legale) prima di tale momento, la semplice qualita’ di socio di una cooperativa e la correlata prenotazione di un alloggio configurano soltanto un diritto di credito che, in quanto sorto dal contratto concluso da uno dei coniugi e per la sua natura personale, pur se strumentale rispetto all’acquisizione della res, non e’ suscettibile di cadere in comunione.

Con il secondo motivo, il *** denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2 del r.d. 28 marzo 1929 n. 499, e successive modificazioni, e dell’art. 177 c.c.. In nessun caso, deduce, l’immobile poteva considerarsi acquisito in proprieta’ prima della intavolazione dell’atto di acquisto nel libro fondiario. Poiche’ l’intavolazione e’ avvenuta in data 18 gennaio 1993, e cioe’ dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, anche per tale via risulta confermato l’acquisto dalla proprieta’ dell’immobile da parta di esso ricorrente. In violazione della legge tavolare vigente nella provincia autonoma di Trento, la corte del merito ha erroneamente stabilito che il trasferimento del bene immobile possa essere avvenuto mediante un semplice atto di assegnazione definitivo intervenuto tra privati e non debitamente sottoposto a pubblicita’ avente effetti costitutivi nei confronti dei terzi, ma anche e soprattutto dei contraenti. Del resto, in base alle annotazioni tavolari, sino al 1992 sul diritto di proprieta’ gravava una ipoteca convenzionale a favore del Credito Fondiario della Regione Trentino Alto Adige, in conseguenza dell’atto di mutuo del 18 aprile 1983. Mancando una annotazione di cancellazione della ipoteca o l’annotazione di altra ipoteca, era evidente che il mutuo non era mai stato frazionato tra i vari soci della cooperativa; di conseguenza, che il passaggio di proprieta’, anche a voler prescindere dalle norme dettate dalla legge tavolare, non poteva farsi risalire a data anteriore al 10 novembre 1992 e non era, quindi, intervenuto in regime di comunione legale tre i coniugi.

Con il terzo e ultimo motivo, si denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Ad avviso del ricorrente, non risulterebbe chiaro perche’ la corte territoriale, pur avendo riconosciuto la fondatezza dei motivi di gravame, ha finito per confermare la sentenza del tribunale sul punto inerente la titolarita’ dell’immobile di via ***.

Con l’unico motivo del suo ricorso, la *** lamenta il mancato riconoscimento dell’assegno divorzile. Ascrive alla corte territoriale di non avere apprezzato due circostanze fondamentali riconducibili al concetto di stato di bisogno; la grave patologia oncologica di cui e’ affetta e l’esclusivo addebito all’ex marito della pronuncia di separazione. A maggior ragione l’assegno dovrebbe essere riconosciuto qualora fosse accolta la pretesa del *** di essere l’unico proprietario dell’immobile di via *** in quanto in tale evenienza si registrerebbe un notevole squilibrio economico fra le parti. In un contesto di causa divorzile, l’estrazione a sorte dei lotti in cui si divide il patrimonio dei coniugi puo’ essere sostituito dalla loro assegnazione motivata in ricorrenza di particolari presupposti, nel caso di specie ravvisabili nel fatto che essa ricorrente abita in quell’immobile da vent’anni.
In subordine, nel caso di accoglimento del ricorso principale, la ricorrente chiede la condanna del *** a rimborsarle le rate di mutuo pagate, nel presupposto di essere comproprietaria dall’immobile.

Il primo e il terso motivo del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente per la complementarieta’ delle relative censure, sono infondati.
E’, in primo luogo, giuridicamente corretto il richiamo che la corte tridentina ha inteso fare alla natura procedimentale del modo di acquisto della proprieta’ dell’alloggio sociale da parte del socio di cooperativa edilizia fruente di contributo erariale.
Per vero, in conformita’ al condiviso insegnamento giurisprudenziale, che puo’ farsi risalire alla sentenza n. 4195/1978 di S.C., dalle norme del T.U. 38 aprile 1938, n. 1165 – disciplinanti i rapporti tra cooperative edilizie fruenti, come la *** di contributo erariale e soci – deriva che l’acquisto della proprieta’ degli alloggi sociali si realizza per messo di un procedimento comprendente una pluralita’ di fasi, attraverso le quali la posizione del socio si evolve assumendo poteri sempre piu’ intensi, fino a consolidarsi nell’acquisto del diritto di proprieta’ dell’alloggio. I momenti piu’ significativi di tale procedimento sono quelli dall’assegnazione e del perfezionamento del mutuo individuale. L’assegnazione attribuisce al socio assegnatario solo il diritto al godimento e non gia’ la proprieta’ dell’alloggio da essa decorre, peraltro, il termine iniziale dell’obbligazione, gravante sull’assegnatario, di pagare le quote di ammortamento del mutuo, per la parte relativa all’alloggio assegnatogli. Solo successivamente, con la stipulazione del contratto di mutuo individuale, la proprieta’ dell’alloggio si trasferisce all’assegnatario, ai sensi dell’art. 229 del citato T.u.. Tale effetto e’, dunque, il risultato di un complesso e articolato procedimento che, perseguendo finalita’ pubblicistiche e riducendo, pertanto, notevolmente i margini di autonomia spettanti alla societa’ ed ai soci, mal si adatta a essere modellato secondo schemi tipicamente civilistici e, comunque, fa derivare i rispettivi diritti e obblighi delle parti non dal contratto ma direttamente dalla legge (vedi, sia pure con diverse sfumature, Cass. nn. 1082/1971, 874/1977, 4170/1978, 447/1982, 5346/1999, 2969/1998, 9014/1998, 5118/2004).
E’ poi da ricordare come, secondo la costante giurisprudenza di questa corte (vedi, e plurimis, sentt. nn. 12439/1993, 987/1995), la comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c., riguarda gli acquisti, cioe’ gli atti implicanti l’affettivo trasferimento della proprieta’ della res, o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non semplici situazioni obbligatorie, pur se strumentali alla acquisizione di una res. In altre parole, la comunione legale, ex art. 177 primo comma lett. a) c.c., riguarda gli acquisti compiuti durante il matrimonio e quindi, atteso il chiaro significato di tale espressione, inequivocamente confermato a contrario dall’art. 179 c.c. (ove prevede che non costituiscono oggetto di comunione i beni sui quali il coniuge abbia la proprieta’ o altro diritto reale di godimento da data anteriore al matrimonio), si riferisce ai beni di cui sia stata conseguita la proprieta’ nel corso del rapporto coniugale.

Alla luce dei sopra riportati principi, e con piu’ specifico riferimento al caso in ispecie, si e’ espressamente affermato che, in ipotesi di alloggio di cooperativa edilizia a contributo statale, il momento rilevante, al fine di stabilire l’acquisto della titolarita’ all’immobile e, quindi, di versificare se esso ricada nella comunione
legale, va individuato in quello della stipulazione, da parte del socio, del contratto di mutuo individuale. Solo in tal modo, infatti, assumendo la veste di semplice mutuatario, il socio acquista irrevocabilmente la proprieta’ dell’alloggio e l’edificio passa in regime di proprieta’ frazionata, cui partecipa la stessa cooperativa per le unita’ non ancora trasferite a singoli assegnatari (vedi Cass. nn. 875/1996, specie in motivazione, nonche’ Cass. nn. 7807/1996 e 4757/1998).
Ora nella specie, la corte del merito ha accertato che: in sintonia con quanto previsto nel verbale di assegnazione provvisoria, l’immobile e’ stato assegnato e consegnato in via definitiva in data 5 novembre 1983, intuitivamente come conseguenza dell’avvenuto frazionamento del mutuo collettivo e della correlativa stipula dell’atto di accollo individuale della corrispondente quota; in sede di interrogatorio formale, il *** ha ammesso l’avvenuta stipula, dopo la fase iniziale in cui le rate del mutuo venivano pagate globalmente dalla Cooperativa, di un atto scritto destinato al frazionamento del mutuo tra i soci assegnatari; la stipula del contratto di mutuo individuale emergeva dallo stesso atto notarile del novembre 1993, stipulato in esecuzione della delibera del consiglio di amministrazione delle Cooperativa del 3 aprile 1986; in detto atto l’assegnatario si era formalmente accollato il mutuo di lire 60.750.000, con ipoteca iscritta a favore dal credito Fondiario Trentino.
E’ evidente che di fronte a tal accertamento di fatto – insindacabile in questa sede, essendo la relativa motivazione logicamente e saldamente ancorata a elementi della compiuta istruttoria – nessun valore puo’ attribuirsi alla deduzione secondo cui l’atto di assegnazione definitiva non esisterebbe, peraltro inammissibilmente effettuata dal *** a contraddittorio chiuso, nella memoria illustrativa, la cui funzione e’ solo quella di chiarire le ragioni esposta a sostegno dei motivi enunciati nel ricorso.
Contrariamente a guanto lamentato dal ricorrente, la motivazione della corte di merito non e’ affatto contraddittoria poiche’, pur partendo dal corretto presupposto – in via di accoglimento della correlativa doglianza dell’appellante principale – che il primo giudice aveva errato nell’individuare la data del passaggio in giudicato della sentenza di separazione e quindi nell’aver fatto ricadere nella comunione legale il bene in quanto acquistato prima di quel momento, ha chiaramente rilevato che a quest’ultima conclusione si doveva pervenire ugualmente in base a diverso percorso motivazionale fondato sul momento in cui effettivamente si era verificato il trasferimento dalla proprieta’ dell’immobile.

Neanche il secondo motivo e’ meritevole di ingresso.

Nel regime tavolare (r.d. 28 marzo 1929 n. 499 e successive modificazioni, in particolare, legge 4 dicembre 1956 n. 1376, legge 29 ottobre 1974 n. 594, legge 8 agosto 1977 n. 574), vigente nei territori italiani gia’ facenti parte dell’impero austro-ungarico, il consenso, manifestato dalle parti nella stipulazione di un atto di trasferimento di diritto immobiliare, non e’ di per se’ sufficiente a perfezionare un acquisto di diritto reale, in guanto tale consenso da vita soltanto a un diritto di natura personale e obbligatoria, mentre gli effetti reali si conseguono con la iscrizione tavolare, che ha valore costitutivo. Del pari, gli effetti delle modificazioni o della estinzione per atto tra vivi dei diritti suddetti sono subordinati alla relativa iscrizione o cancellazione.
Ma se l’intavolazione costituisce una formalita’ essenziale per il trapasso della proprieta’ e degli altri diritti reali (a differenza della trascrizione che e’ una forma di pubblicita’ dichiarativa), non significa che essa abbia di per se’ efficacia costitutiva dei diritti medesimi.
Piu’ volte, infatti, questa Corte ha affermato il principio per cui se e’ vero che nel sistema tavolare, secondo quanto disposto dall’art. 2 r.d. 28 marzo 1929 n. 499, il diritto di proprieta’ e gli altri diritti reali sui beni immobili non si acquistano, modificano o estinguono per atti tra vivi per effetto del consenso legittimamente manifestato, bensi’ solo con l’iscrizione e la cancellazione del diritto nel libro fondiario, e’ altrettanto vero che l’intavolazione non ha mai di per se’ efficacia costitutiva dei diritti che ne formano oggetto e, comunque, che il valore costitutivo della intavolazione non va inteso in senso assoluto e possibile, pertanto, che i diritti tavolati, benche’ iscritti in modo formalmente corretto, siano sostanzialmente inesistenti o diversi o meno ampi. Si possono, al riguardo, richiamare le sentenze nn. 157/1965, 2663/1968, 3245/1969, 3352/1973, 1131/1976 (relativa a un caso di simulazione assoluta del negozio che costituiva la fonte del diritto iscritto), 6594/1987, 2938/1988 (secondo cui l’efficacia costitutiva dell’intavolazione, nel sistema di libri fondiari, presuppone un valido titolo, sicche’, in mancanza di questo, il soggetto in favore del quale risulti trasferito o costituito il diritto reale rimane esposto al pericolo dell’evizione nonostante l’avvenuto compimento di detta forma di pubblicita’, che non puo’ da sola costituire un diritto inesistente), 8376/1990 (“Le iscrizioni tavolari – art. 2 del r.d. 28 marzo 1929 n. 499 – non hanno effetti costitutivi, con riguardo ai diritti cui si riferiscono, e, pertanto, anche al fine di stabilire se un locale in fabbricato condominiale sia pertinenza dell’intero edificio o della singola porzione, sono prive di valore vincolante, e non ostano ad una diversa ricostruzione della situazione dominicale, alla stregua di successivi atti traslativi”), 2562/1980, 6332/1980, resa a Sezioni Unite, e 338/2001, per le quali, nel sistema tavolare, l’effetto della costituzione, del trasferimento o dell’estinzione dei diritti reali immobiliari, a seguito dell’iscrizione nel libro fondiario, e’ assistito da una presunzione di legittimita’ a favore dell’intestatario, la quale, a prescindere da eventuali reclami contro il decreto di intavolazione, puo’ essere vinta mediante prova contraria, da parte di chi assuma la lesione del proprio diritto, con azione di rivendicazione davanti al giudice ordinario.
Pertanto, con riguardo ai beni soggetti al regime tavolare nelle province gia’ austro-ungariche, l’efficacia costitutiva dell’intavolazione riguarda l’esistenza, ossia la titolarita’, dal diritto di proprieta’ o di altro diritto reale sui beni immobili, nel senso che l’acquisto per atto tra vivi della proprieta’ o di altro diritto reale a favore di un determinato soggetto diventa pienamente efficace soltanto al momento della sua iscrizione nel libro fondiario; ma non afferisce anche alla quantita’ o estensione materiale o giuridica del diritto medesimo, che puo’ essere accertata con adeguata prova, non avendo in tal caso l’iscrizione valore vincolante ne’ ostativo ad una diversa ricostruzione del contenuto oggettivo del diritto leale o degli altri diritti reali. E’, quindi, possibile l’accertamento di una situazione di fatto e di diritto contraria a quella risultante dall’iscrizione nei libri fondiari. Va in definitiva affermato che sussiste nel nostro ordinamento il principio della prevalenza della realta’ negoziale sull’apparenza tavolare.
Nella specie, contrariamente a quanto risultante dall’iscrizione nel libri fondiari, e’ pacifico che l’immobile era stato acquistato in costanza di comunione legale e che quindi la *** ne era comproprietaria pro indiviso.

Anche il ricorso incidentale e’ infondato.
Le censure formulate a tal riguardo sono prive di fondamento, avendo la corte territoriale fornito sufficiente e corretta giustificazione della soluzione accolta. Essa ha, infatti, proceduto all’esame comparativo delle condizioni e delle capacita’ economiche delle parti, giungendo alla conclusione che la cessazione del vincolo coniugale non ha determinato una situazione deteriore dell’appellante (incidentale) rispetto a quella mantenuta in costanza di matrimonio.
Tale giudizio, lungi dall’essere apodittico e arbitrario – come la *** assume – risulta invece ancorato a molteplici e non controverse risultanze probatorie, giustamente considerate nel loro complesso, alla stregua delle quali i giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente e’ in grado di condurre un tenore di vita analogo a quello avuto manente matrimonio.
Di conseguenza, del tutto correttamente la corte del merito ha omesso di procedere all’indagine sulla sussistenza del cd. Presupposto risarcitorio, infatti, diversamente da quanto si sostiene nel mezzo, e’ consolidato nella giurisprudenza di legittimita’ il principio secondo cui le “ragioni della decisione” – intese, come hanno precisato le Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 11489 del 1990, “con riguardo ai comportamenti che hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia” – possono esser prese in considerazione dal giudice, unitamente a tutti gli altri elementi indicati nell’art. 5, comma quarto, ora 6 della legge n. 898/1970, soltanto nella fase della concreta determinazione dell’assegno, come criteri di moderazione dell’ammontare del medesimo, e postulano quindi il previo accertamento della sussistenza del diritto del richiedente sulla base del solo criterio assistenziale; con l’ulteriore ovvia conseguenza che del tutto superflua e’ l’indagine sugli anzidetti comportamenti (di entrambi i coniugi), e sulla ricorrenza del cd. presupposto risarcitorio, quando il giudice di merito, in esito alla globale valutazione delle circostanze del caso concreto, abbia stabilito che l’ex coniuge richiedente dispone di mezzi adeguati ovvero che il coniuge sul quale dovrebbe gravare l’assegno e’ privo delle necessaria risorse economiche.
Quindi, l’accertamento della causa dello scioglimento del vincolo coniugale era superfluo in quanto, nella specie, risultava che il coniuge richiedente fruiva di mezzi adeguati (cfr., Cass. 11489/1990, 2872/1994, 7990/1996).
Sempre seguendo i principi piu’ volte enunciati in materia da questa Corte (tra le piu’ recenti, sentt. n. 661/2003 12309/2004, 22500/2004), i giudici del merito hanno disatteso la richiesta della *** di assegnazione della casa in comproprieta’ coniugale in via di perequazione economica a seguito della pronuncia di divorzio, avuto riguardo all’assenza di prole (e peraltro al godimento da parta dell’appellante incidentale di adeguati redditi propri). L’indirizzo giurisprudenziale si basa sul rilievo che l’assegnazione della casa familiare e’ finalizzata alla protezione della prole e non e’ prevista in funzione della debolezza economica di uno dei coniugi, alle cui esigenze e’ destinato l’assegno divorzile, e trova ulteriore conforto nella considerazione che una diversa interpretazione comporterebbe la sostanziale espropriazione del diritto di proprieta’, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del titolare (o del contitolare) e porrebbe in discussione la legittimita’ della disposizione normativa che tale assegnazione contempla, in quanto la modifica del relativo provvedimento non sarebbe piu’ correlata al raggiungimento della maggiore eta’ ed alla indipendenza economica dei figli.
La stessa Corte, con motivazione ineccepibile e apprezzamento incensurabile in sede di legittimita’, ha ritenuto irrilevante, ai fini dal riconoscimento dell’assegno divorale, la malattia sofferta dalla *** considerato che si trattava di evento pregresso e che mancavano prove significative della sua incidenza sul piano economico.
La soccombenza reciproca e di per se’ giusto motivo di compensazione delle spese di questa fase di giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Cosi’ deciso in Roma, il 18 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2005

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