Corte di cassazione, sez. unite sentenza 7 marzo 2005, n. 4806
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia trae origine da impugnazione proposta (con atto di citazione del 19 febbraio 1997) da due condomini, F.M. e A.G., del complesso immobiliare sito in Roma, via Tor de’ Schiavi 3819, avverso tre delibere dell’assemblea del condominio (adottate il 18 settembre 1995, il 15 dicembre 1995 e il 23 settembre 1996) concernenti l’approvazione del consuntivo relativo alle spese ordinarie per l’anno 1995/1996, la ripartizione delle spese per alcuni lavori straordinari e il riparto della tassa di occupazione suolo pubblico. Le ragioni dell’impugnazione erano la mancanza nel verbale dell’indicazione dei condomini che avevano partecipato all’assemblea e dell’entità delle spese deliberate; l’errata ripartizione, essendo stata effettuata sulla base di fittizi valori millesimali ed essendo state poste a loro carico spese sostenute per l’esclusiva utilità di condomini di altra palazzina.
Il Tribunale – ritenute le ragioni prospettate (come l’utilizzo di criteri contrari alla legge per la ripartizione delle spese) quali motivi di nullità delle delibere – rigettava la domanda nel merito, sostenendo che risultavano documentalmente smentite le omissioni nel verbale e l’utilizzo di tabelle millesimali fittizie e che la dedotta errata ripartizione delle spese era sfornita di prova.
Con sentenza 1354/2000, la Corte d’appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello principale del M. e G.; in accoglimento dell’appello incidentale del condominio e in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava i due condomini decaduti dal diritto di proporre impugnazione avverso le suddette delibere per decorrenza del termine di legge, perché i vizi dedotti erano da inquadrare nell’ambito dell’annullabilità e non della nullità delle delibere. In particolare la Corte d’appello riteneva il vizio di omessa comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea vizio del procedimento rientrante nell’annullabilità, e le delibere di ripartizione in concreto delle spese condominiali, anche se adottate in violazione dei criteri legali o convenzionali, annullabili, in quanto rientranti nell’esercito delle attribuzioni assembleari ex art. 1135 c.c., dovendo la loro impugnazione avvenire entro il termine di decadenza previsto dall’art. 1137 c.c., non rispettato.
I condomini M. e C. hanno chiesto la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi di censura.
Il condominio ha resistito con controricorso.
La seconda sezione civile, con ordinanza del 18 novembre 2003, ha rilevato la presenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti in ordine alla riconducibilità dei vizi delle delibere assembleari nell’ambito della nullità o annullabilità.
Per la composizione del contrasto, il Primo Presidente, ai sensi dell’art. 374, secondo comma, c.p.c. ha rimesso la questione alle sezioni unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso contiene tre motivi.
a) Il primo motivo riguarda la violazione dell’art. 1136, sesto comma, c.c. Affermano i ricorrenti che dalla lettera della legge, secondo cui “l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione”, deriverebbe che la delibera stessa è nulla e non annullabile, qualora l’assemblea deliberi senza che anche uno solo dei condomini sia stato invitato alla riunione.
b) Il secondo motivo denuncia la falsa applicazione dell’art. 1137, secondo e terzo commi, c.c. Premesso di aver dedotto con i motivi d’appello l’omissione nel verbale dei nominativi dei condomini presenti (ovvero assenti, assenzienti e dissenzienti), dei valori dei millesimi e dell’entità delle spese deliberate ed approvate, i ricorrenti sostengono la nullità di tali delibere e non l’annullabilità, che la Corte d’appello avrebbe ritenuto incorrendo nella falsa applicazione dell’art. 1137 cit. In particolare sottolineano che il verbale deve contenere gli elementi indispensabili per il riscontro della validità della costituzione assembleare: l’indicazione dei condomini e dei millesimi sono essenziali ai fini della verifica della prescritta maggioranza ex art. 1136 c.c.
c) Il terzo motivo concerne la violazione dell’art. 1123, terzo comma, c.c. I ricorrenti assumono che, essendo state poste a loro carico spese – quali la tassa di occupazione del suolo pubblico, lavori straordinari per posti auto e per un ascensore – che dovevano essere a carico solo dei condomini che ne traevano utilità, la delibera è nulla.
2. I motivi sono stati contestati dal condominio che, dopo aver evidenziato rispetto al primo che i ricorrenti nei precedenti gradi di giudizio non si sono mai doluti della mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, ha sostenuto che, comunque, tutte le dedotte ipotesi sono riconducibili nell’ambito dell’annullabilità e non della nullità.
3. E’ bene premettere, per quanto riguarda il primo motivo, che la questione della mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea è entrata nel thema decidendum, evidentemente perché ritenuta strettamente connessa con quella della mancata indicazione dei nominativi dei condomini, tant’è che di essa espressamente si occupa la sentenza impugnata (fine pag. 5, inizio pag. 6), donde l’infondatezza del profilo di inammissibilità prospettato dal condominio.
4. Il contrasto giurisprudenziale rilevato con l’ordinanza di remissione è se comportino la nullità o la annullabilità della delibera: a) la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, anche ad un solo condomino; b) l’omessa indicazione, nel verbale, dei condomini presenti e dell’entità delle spese deliberate e approvate; c) l’errata ripartizione delle spese.
5. Prima di procedere all’esame del contrasto, è opportuno effettuare una, sia pur sintetica, ricognizione dell’orientamento della Corte e della dottrina in tema di nullità e annullabilità delle delibere dell’assemblea condominiale.
5.1. La Corte, in generale, ha affermato che sono da ritenersi nulle le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea o alla formazione della volontà della prescritta maggioranza; quelle con maggioranze inferiori alle prescritte; le delibere prive degli elementi essenziali; quelle adottate con maggioranza inesistente, apparente o inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; le delibere con oggetto impossibile o illecito, a volte specificandolo come oggetto contrario all’ordine pubblico, o alla morale, o al buon costume; le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea; le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto.
5.2. Nell’ambito della categoria delle delibere contrarie alla legge o al regolamento condominiale, la Corte ha affermato che sono da ritenersi annullabili quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea; quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; le delibere viziate da eccesso di potere o da incompetenza, che invadono cioè il campo riservato all’amministratore; le delibere che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
6.1. In particolare, premesso che l’art. 1137 c.c. ha un’ampia portata ma non si riferisce a quelle decisioni assembleari che sono senza effetto alcuno in forza di principi generali indiscutibili, e perciò attaccabili in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, alcuni autori ritengono nulle le delibere prive dei requisiti essenziali, in quanto prese da assemblee non regolarmente costituite (anche perché non sono stati invitati tutti i condomini) o con maggioranze inesistenti o apparenti; ovvero quelle aventi un oggetto impossibile o illecito; quelle esorbitanti dalla sfera dei compiti dell’assemblea; quelle che ledono i diritti di ciascun condomino sulle cose e servizi comuni o sul proprio piano o appartamento. Considerano annullabili le delibere affette da vizi formali, prese in violazioni di prescrizioni convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di convocazione e di informazione dell’assemblea.
6.2. Altri autori, operando un accostamento con i principi generali e le disposizioni dettate in tema di delibere societarie, ritengono nulle le delibere aventi ad oggetto materie sottratte alla competenza della assemblea, la ripartizione delle spese secondo criteri diversi da quelli legali, contenuto illecito o impossibile, la menomazione dei diritti spettanti a ciascun condomino, e quelle contrarie a norme imperative. Sono, invece, annullabili le delibere assunte a seguito di un procedimento viziato, ovvero inficiate da eccesso di potere perché invadono il campo riservato alla competenza dell’amministratore.
7. Il denunciato contrasto è sintetizzabile nei seguenti termini.
7.1. Sull’omessa comunicazione dell’avviso, sino al 2000 è rimasto fermo il principio, affermato dalla Corte in numerose pronunce (v. fra le tante: Cass. 1° ottobre 1999, n. 10886; 19 agosto 1998, n. 8199; 12 giugno 1997, n. 5267; 27 giugno 1992, n. 8074; 9 dicembre 1987, n. 9109; 15 novembre 1977, n. 4984; 16 aprile 1973, n. 1079; 12 novembre 1970, n. 2368), della nullità della delibera. In alcune sentenze, la sanzione della nullità è espressamente ricondotta alla difettosa costituzione dell’organo deliberante, risultando irrilevante l’incidenza o meno del voto sulle prescritte maggioranze (Cass. 12 febbraio 1993, n. 1780; 15 novembre 1977, n. 4984). In altre la nullità è ricondotta all’esigenza che tutti i condomini siano preventivamente informati della convocazione dell’assemblea, così da poter essere partecipi del procedimento di formazione della delibera stessa, con la conseguenza che non determinano la nullità le mere irregolarità, quali la convocazione ad opera di persona non qualificata (Cass. 2 marzo 1987, n. 2184) o l’incompletezza dell’ordine del giorno (Cass. 21 giugno 1977, n. 4035) che danno luogo alla sola annullabilità. A volte la nullità è fatta discendere espressamente dall’art. 1136, sesto comma, c.c.
7.2. A partire dal 2000, cambiando orientamento, la Corte (Cass. 5 gennaio 2000, n. 31; 5 febbraio 2000, n. 1292; 1° agosto 2003, n. 11739) afferma che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale ad un condomino determina la semplice annullabilità della delibera. Il mutamento di indirizzo della Corte trae argomento: a) dal combinato disposto degli artt. 1105, terzo comma, e 1109 c.c., in base al quale la mancata preventiva informazione dei partecipanti alla comunione determina semplicemente l’impugnabilità, nel termine di decadenza di trenta giorni, delle deliberazioni assunte da parte dei componenti della minoranza dissenziente; b) dal parallelismo e dall’identità di ratio (individuata nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, messa a rischio dalla possibilità di dedurre in ogni tempo la nullità) esistente tra la disciplina in materia di società di capitali (artt. 2377, 2379 c.c., logicamente prima della riforma introdotta col d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, di cui si dirà in seguito) e quella in materia condominiale (art. 1137 c.c.) in tema di delibere dell’assemblea (dei soci, nel primo caso, e dei condomini, nel secondo), la prima delle quali espressamente limita le ipotesi di nullità delle delibere assunte dall’assemblea dei soci ai soli casi dell’impossibilità e dell’illiceità dell’oggetto.
7.3. In particolare, i vizi dell’oggetto come causa di nullità sono ricollegati con i confini posti in materia di condominio al metodo collegiale e al principio di maggioranza. Secondo la Corte «tanto la impossibilità giuridica, quanto la illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, considerato che la prima consiste nella inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto, e che la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, alle quali l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione dei diritti individuali, attribuiti ai singoli dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni». Di conseguenza la formula dell’art. 1137 c.c. deve interpretarsi nel senso che per «”deliberazioni contrarie alla legge” si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’art. 1136 (ma pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c.)». Inoltre, «mentre le cause di nullità, afferendo all’oggetto, raffigurano le uniche cause di invalidità riconducibili alla “sostanza” degli atti, alle quali l’ordinamento riconosce rilevanza e, costituendo vizi gravi, non sono soggette a termine per l’impugnazione; invece «sono inficiate da un vizio di forma le deliberazioni quando l’assemblea decide senza l’osservanza delle forme procedimentali stabilite dalla legge per assicurare la partecipazione di tutti i condomini alla formazione della volontà collettiva per gestire le cose comuni» e, attenendo al procedimento di formazione, producono un vizio non grave che, se non fatto valere nei termini prescritti, non inficia gli atti.
Le diverse cause di invalidità sono state, quindi, ricondotte al tipo di interesse leso: interessi sostanziali inerenti all’oggetto delle delibere, per la nullità; strumentali, in quanto connessi con le regole procedimentali relative alla formazione degli atti, per l’annullabilità.
8. Con riferimento al verbale delle delibere dell’assemblea dei condomini, un vero e proprio contrasto giurisprudenziale non sembra emergere, registrandosi soltanto alcune puntualizzazioni e specificazioni.
8.1. Infatti, la Corte, in alcune pronunce (v. ex plurimis: Cass. 22 maggio 1999, n. 5014; 19 ottobre 1998, n. 10329) ha espressamente affermato l’annullabilità ex art. 1137 c.c. della delibera il cui verbale contiene delle omissioni, precisando che la redazione del verbale costituisce una delle prescrizioni di forma che devono essere osservate al pari delle altre formalità richieste dal procedimento collegiale (avviso di convocazione, ordine del giorno, etc.), la cui inosservanza comporta l’impugnabilità della delibera, in quanto non presa in conformità della legge.
8.2. Principio che si ritrova implicitamente alla base di altre pronunce, dove la Corte ha affermato l’annullabilità delle deliberazioni assembleari nel caso in cui non siano individuati, e riprodotti nel relativo verbale, i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, ed i valori delle rispettive quote millesimali (Cass. 22 gennaio 2000, n. 697; 29 gennaio 1999, n. 810).
8.3. E’ stato pure affermato che la sottoscrizione del presidente subentrato in luogo di quello che all’inizio ha presieduto concreta una irregolarità formale, comportante annullabilità (Cass. 29 ottobre 1973, n. 2812); e, in generale, la stessa redazione per iscritto del verbale, prescritta dall’art. 1136, ultimo comma, c.c., non è prevista a pena di nullità, tranne il caso in cui la delibera incida su diritti immobiliari (Cass. 16 luglio 1980, n. 4615).
9. Parimenti per quanto riguarda le delibere in materia di ripartizione delle spese (se si esclude l’isolata e risalente pronuncia n. 1726 del 4 luglio 1966) non sembra sussistere contrasto nella giurisprudenza, atteso che la Corte – a partire del 1980 – ha costantemente distinto, sulla base di un medesimo criterio, le ipotesi di nullità (v. Cass. 9 agosto 1996, n. 7359; 15 marzo 1995, n. 3042; 3 maggio 1993, n. 5125; 19 novembre 1992, n. 12375; 5 dicembre 1988, n. 6578; 21 maggio 1987, n. 4627; 5 ottobre 1983, n. 5793; 5 maggio 1980, n. 29289) da quelle di annullabilità (cfr. Cass. 9 febbraio 1995, n. 1455; 8 giugno 1993, n. 6403; 1° febbraio 1993, n. 1213; 5 agosto 1988, n. 4851; 8 settembre 1986, n. 5458), in molti casi facendo espresso riferimento all’art. 1123 c.c.
9.1. In particolare, partendo dal rilievo che le attribuzioni dell’assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte alla verificazione ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell’edificio condominiale in misura non superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca, la Corte (cfr. Cass. 9 agosto 1996, n. 7359; 15 marzo 1995, n. 3042; 3 maggio 1993, n. 5125; 19 novembre 1992, n. 12375) ha affermato la nullità della delibera che modifichi i suddetti criteri di spesa (sia nell’ipotesi di individuazione dei criteri di ripartizione ai sensi dell’art. 1123 c.c., sia nell’ipotesi di cambiamento dei criteri già fissati in precedenza),
9.2. Conseguentemente la Corte ha riconosciuto l’annullabilità della delibera nel caso di violazione dei criteri già stabiliti quando vengono in concreto ripartite le spese medesime (Cass. 9 febbraio 1995, n. 1455; 8 giugno 1993, n. 6403; 1° febbraio 1993, n. 1213).
10. Il contrasto, che come evidenziato riguarda essenzialmente l’omessa comunicazione dell’avviso di convocazione, ex art. 66, comma 3, disp. att. c.c., ha visto divisa anche la dottrina, la quale ha assunto posizioni di segno diverso sia rispetto all’utilizzo degli artt. 1105 e 1109 c.c., sia rispetto al parallelismo e identità di ratio con la disciplina in materia di società di capitali.
10.1. Alcuni autori dubitano della pertinenza del richiamo all’art. 1105, comma 3, c.c. in tema di comunione: l’omessa informazione preventiva sull’oggetto della deliberazione non può, infatti, essere assimilata senz’altro all’omessa convocazione. Ciò per la decisiva considerazione che il principio maggioritario in tanto può operare in quanto tutti gli aventi diritto siano posti in condizione di intervenire in assemblea per partecipare alla discussione e alla votazione. Nei riguardi del condomino non convocato la riunione assembleare e le relative deliberazioni sarebbero res inter alios acta. Né può dirsi, sotto altro profilo, che la convocazione di un condomino attenga, comunque, solo al procedimento da osservare per la formazione della volontà assembleare, determinando l’omissione un error in procedendo.
10.2. Secondo altri autori è stato individuato un riscontro normativo direttamente afferente al vizio di convocazione ed espressamente regolato come annullabilità in un settore non distante dal regime condominiale. Inoltre, il richiamo risulta utile per la sua diretta attinenza alla ricostruzione della disciplina codicistica del metodo collegiale: nella comunione, come nel condominio, le decisioni comuni vengono assunte in collegio e l’obbligo di informativa sulle materie oggetto di discussione è finalizzato al successivo svolgimento dell’assemblea, di cui l’art. 1105 c.c. prescrive in definitiva la convocazione; in tal senso è di rilievo l’azione di annullabilità prevista dall’art. 1109 c.c. quale rimedio idoneo contro le decisioni illegittime della maggioranza, poiché nel condominio il metodo collegiale riveste la medesima rilevanza che nella comunione ordinaria, ove pure è posto a tutela dei diritti delle minoranze.
10.3. Quanto al parallelismo e identità di ratio con la disciplina in materia societaria, un orientamento dottrinario distingue tra la «mancata convocazione di alcuni soltanto dei soci» e «mancata convocazione dei soci» (ovvero mancata convocazione dell’assemblea) non seguita da assemblea totalitaria, ritenendo che, mentre in quest’ultimo caso ricorre un’ipotesi di nullità radicale (rectius: di inesistenza), nel primo, invece, una situazione di semplice annullabilità, ai sensi dell’art. 2377 c.c. Peraltro, in generale, si è affermato che il richiamo alla disciplina della società per azioni non sembra corretto, essendo il condominio pervaso dalla logica proprietaria a differenza della materia societaria, dove l’interesse del gruppo trova spesso maggiore tutela dell’interesse del singolo sacrificato in funzione dello scopo comune.
10.4. Altro orientamento dottrinario, al contrario, ritiene condivisibile il parallelismo con la disciplina societaria, avuto riguardo alle invocate esigenze di certezza nei rapporti tra i condomini e tra il condominio e terzi. Vi è chi sostiene che nel condominio (differentemente dalla disciplina positiva dei contratti e di quella in materia di società) l’art. 1137 c.c. assoggetterebbe ad un unico regime decadenziale le violazioni della legge e del regolamento, senza possibilità di distinzione tra annullabilità e nullità. Non manca chi, partendo da una rilettura dell’art. 1139 c.c., che per quanto non espressamente previsto in materia di condominio rinvia alle norme sulla comunione, e dal presupposto che tale norma non è di chiusura (altrimenti sarebbe «di clausura»), ma consente un rinvio interno fra sistemi laddove sussistano elementi di sufficiente omogeneità, condividendo le cosiddette concezioni miste del condominio, giunge a condividere la concezione della “complessità sistematica”, che vede nel condominio «un sistema di sistemi», e dunque «un istituto giuridico che trova la sua consistenza nell’avvalersi di regole già proprie di altri istituti, quali quelli attinenti ai rapporti fra parti di proprietà individuale e parti comuni, quelle relative all’assemblea, quelle infine che si riferiscono all’amministratore». E, quindi, con riferimento alla modalità di convocazione e gestione dell’assemblea, sono da prendersi in considerazione, secondo l’autore, anche le norme del codice dettate per la società per azioni.
11. Ritengono le Sezioni Unite, al fine di risolvere la questione di diritto e definire il contrasto, che debba privilegiarsi l’interpretazione secondo la quale la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, anche ad un solo dei condomini, comporta non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, in base alle seguenti considerazioni.
11.1. Conviene premettere che in tema di condominio negli edifici, il codice non contempla la nullità.
L’art. 1137 c.c., al comma 2, espressamente stabilisce che, contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria; al comma 3 aggiunge che il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data di deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Il breve termine di decadenza e la individuazione delle persone legittimate (ben poche) alla impugnazione dimostrano essere contemplata una ipotesi di annullabilità, posto che sia in tema di negozio (artt. 1441 e 1442 c.c.), sia in tema di delibere societarie (art. 2377, comma 20, c.c.), il termine per la impugnazione e le persone legittimate a proporre l’azione contrassegnano le ipotesi di annullabilità; al contrario, per le ipotesi di nullità tanto in tema di negozio (art. 1421 e 1422 c.c.) quanto in tema di delibere societarie (art. 2379 c.c.), l’azione di nullità non è soggetta a termine e, allo stesso tempo, è legittimato ad esercitarla chiunque vi ha interesse, inoltre la nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
11.2. Dottrina e giurisprudenza ravvisano l’essenza della nullità nella mancanza o nella grave anomalia di qualche elemento intrinseco dell’atto, tale da non consentire la rispondenza alla figura tipica individuata dall’ordinamento. La nullità è considerata lo strumento con cui la legge nega fondamento a quelle manifestazioni di volontà attraverso le quali si realizza un contrasto con lo schema legale e con gli interessi generali dell’ordinamento. Di conseguenza, attraverso la sanzione della nullità, l’ordinamento, esprimendo un giudizio di meritevolezza, nega la propria tutela a programmazioni che non rispondono a valori fondamentali.
11.3. L’art. 1418 c.c. elenca una serie di ipotesi in cui il contratto, per gli specifici vizi in esso previsti – la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’art. 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’art. 1346 – viene espressamente sanzionato con la nullità. Altre norme, poi, prevedono tale sanzione ora nello stesso codice civile, ora in leggi specifiche (cfr. art. 1418, comma 3).
11.4. Alcune norme di legge vietano il compimento di determinati negozi, senza però stabilire la specifica sanzione in caso di inosservanza del relativo divieto. Si parla in tali ipotesi di nullità c.d. virtuale, argomentandosi dal 1° comma dell’art. 1418 c.c., il quale dispone che «il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente». Ciò vuol dire che se la legge dispone diversamente, ossia una diversa sanzione (ad esempio, l’annullabilità), sarà questa sanzione a doversi applicare; se, però, non è prevista una sanzione per la violazione di una precisa norma imperativa, dovrà applicarsi quella della nullità, in quanto ciò è detto proprio nel 1° comma dell’art. 1418.
11.5. Regole esattamente inverse, invece, valgono in materia testamentaria, societaria e del lavoro: in tali ambiti, infatti, è l’annullabilità ad essere virtuale, in quanto le ipotesi di nullità sono specificamente limitate a singole e particolari ipotesi (per il testamento cfr. l’art. 606 c.c.; per le società di capitali l’art. 2332 c.c.; per il rapporto di lavoro l’art. 2126 c.c.).
12. In materia di condominio, la nullità non prevista è piuttosto una creazione della dottrina e della giurisprudenza per impedire l’efficacia definitiva delle delibere mancanti degli elementi costitutivi (o lesive dei diritti individuali); per la verità, fissare l’efficacia definitiva di una delibera gravemente viziata per difetto di tempestiva impugnazione non sembra giusto.
In assenza di specifica previsione normativa, sembra logico doversi ammettere la nullità soltanto nei casi più gravi.
12.1. Al riguardo, nell’ambito del condominio negli edifici acquista rilevanza la distinzione tra momento costitutivo e momento di gestione. Invero, l’espressione «condominio negli edifici» designa tanto il diritto individuale sulle cose, gli impianti ed i servizi comuni attribuito ai proprietari dei piani o delle porzioni di piano siti nel fabbricato, quanto l’organizzazione degli stessi proprietari, cui è affidata la gestione delle parti comuni. I vizi riscontrabili nel momento costitutivo, che riflette l’insorgenza del diritto individuale e la stessa situazione soggettiva di condominio, con conseguente rilevanza della volontà individuale di ogni singolo partecipante, onde il principio è quello dell’autonomia, che si avvale dello strumento negoziale, certamente sono più gravi di quelli verificabili nel momento di gestione, che riguarda l’organizzazione del condominio per quanto attiene le sole cose comuni, dove vige il metodo collegiale e il principio maggioritario, che comportano la subordinazione della volontà dei singoli al volere dei più.
12.2. Come sopra accennato, a favore della nullità della delibera per la mancata convocazione di un solo condomino si adducono due argomenti. Anzitutto, la lettera dell’art. 1136, comma 6, c.c., secondo cui l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione, mediante comunicazione di cui all’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. Donde l’inferenza che, in mancanza della convocazione anche di un solo condominio, non sussisterebbe il potere dell’assemblea di deliberare. Il principio maggioritario – si aggiunge – in tanto può operare in quanto tutti i condomini siano stati posti in condizione di intervenire in assemblea, di partecipare alla discussione e alla votazione, D’altra parte, si conclude, la convocazione non attiene al solo procedimento, perché nei confronti del non convocato il procedimento non inizia e quindi non può verificarsi alcun error in procedendo: la convocazione attiene alla sostanza della applicazione del principio maggioritario.
12.3. Gli argomenti non persuadono e nel sistema si rinvengono considerazioni contrarie di maggior peso.
Premesso che il procedimento di convocazione è unico e non si frantuma in tanti procedimenti quanti sono i singoli condomini da convocare, la lettera dell’art. 1136, comma 6, c.c. non raffigura un ostacolo insormontabile; la norma può essere intesa, con riferimento alla funzione, nel senso che la proposizione secondo cui l’assemblea non può “validamente” deliberare se tutti i condomini non sono stati convocati, deve intendersi nel senso che, in difetto di convocazione di un condomino, la delibera non è definitivamente valida, essendo suscettibile di impugnazione (nel prescritto termine di trenta giorni).
12.4. La delibera approvata con il principio maggioritario non va confusa con la statuizione assunta con il negozio plurilaterale. Mentre il negozio plurilaterale non è valido, se non vi partecipano tutte le parti necessarie, contrassegno precipuo del principio maggioritario è la imputazione all’intero collegio di quello che è il volere della maggioranza; quindi riconoscere l’efficacia della deliberazione sulla base delle maggioranze prescritte e non necessariamente sul fondamento della volontà di tutti i partecipanti. Se in base al metodo collegiale e al principio maggioritario si vincolano anche tutti i condomini assenti o dissenzienti non deve menar scandalo la mancata convocazione di un condomino il quale, peraltro, non resta privo di tutela, poiché può impugnare quando la delibera gli viene comunicata.
12.5. Rileva poi la portata del collegato disposto degli artt. 1105, comma 3, e 1109, n. 2, e p. ult., c.c., che, in tema di comunione, stabilisce l’impugnazione della delibera entro il termine di decadenza di trenta giorni nel caso di omessa preventiva informazione a tutti i partecipanti. E’ pur vero che l’art. 1105 c.c. parla di preventiva informazione e non di convocazione. La terminologia differente si spiega con la considerazione che nella comunione non è prevista l’assemblea, ma la semplice riunione dei comproprietari interessati. Tuttavia la sostanza della norma è che il difetto di informazione – certamente assimilabile alla omessa convocazione – non configura una causa di nullità, ma di semplice annullabilità. Da qui risulta ragionevole dubitare che l’art. 1136, comma 6, c.c., disciplinando la stessa fattispecie e usando un formula consimile, alla mancata convocazione di un condomino ricolleghi non la annullabilità ma la conseguenza più grave della nullità.
13. A queste considerazioni specifiche conviene aggiungere argomenti desunti dalla teoria degli atti giuridici.
Come sopra detto, in generale, si considera nullo l’atto quando manca ovvero è gravemente viziato un elemento costitutivo, previsto secondo la configurazione normativa. Pertanto, a causa dell’assenza ovvero del grave vizio dell’elemento considerato essenziale, l’atto si considera inidoneo a dar vita alla nuova situazione giuridica, che il diritto ricollega al tipo legale, in conformità con la sua funzione economico-sociale. Per contro, si considera annullabile l’atto in presenza di carenze o di vizi ritenuti meno gravi, secondo la valutazione compiuta dall’ordinamento. Annullabile è, dunque, l’atto che, non mancando degli elementi essenziali del tipo, presenta vizi non gravi, che lo rendono idoneo a dare vita ad una situazione giuridica precaria, che può essere rimossa.
13.1. In tema di deliberazioni delle società di capitali, come è noto, le cause di nullità sono circoscritte (art. 2379 c.c.), in funzione della certezza dei rapporti societari, i quali riguardano un numero cospicuo di persone. Le stesse esigenze di certezza dei rapporti si rinvengono in tema di condominio negli edifici, dove i rapporti riguardano i condomini, che raffigurano un numero di persone maggiore di quelle che al singolo contratto sono interessate. Pertanto, appare corretto e coerente con i principi limitare le cause di nullità ai vizi afferenti alla sostanza degli atti, vale a dire alla impossibilità o alla illiceità dell’oggetto. Tanto la impossibilità giuridica quanto l’illiceità dell’oggetto derivano dal difetto di attribuzioni in capo all’assemblea, posto che la prima consiste nella inidoneità degli interessi contemplati ad essere regolati dal collegio che delibera a maggioranza, ovvero a ricevere dalle delibere l’assetto stabilito in concreto, e la seconda si identifica con la violazione delle norme imperative, dalle quali l’assemblea non può derogare, ovvero con la lesione dei diritti individuali, attribuiti ai condomini dalla legge, dagli atti di acquisto o dalle convenzioni.
13.2. La formula dell’art. 1137 c.c. deve interpretarsi nel senso che per le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio si intendono le delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prescritte dall’art. 1136 c.c. per la convocazione, la costituzione, la discussione e la votazione in collegio, pur sempre nei limiti delle attribuzioni specificate dagli artt. 1120, 1121, 1129, 1132, 1135 c.c. Sono inficiate da un vizio di forma le deliberazioni quando l’assemblea decide senza l’osservanza delle forme procedimentali stabilite dalla legge per assicurare la partecipazione di tutti i condomini alla formazione della volontà collettiva per gestire le cose comuni. Pertanto, se gli stessi condomini interessati ritengono che dal provvedimento approvato senza l’osservanza delle forme prescritte non derivi loro un danno, manca il loro interesse a chiedere l’annullamento. Il difetto di impugnazione in termine può assumere significato di personale successiva adesione alla delibera.
13.3. Sul punto è opportuno soffermarsi brevemente. Per la verità, la configurazione della mancata convocazione del condomino come vizio procedimentale, da cui ha origine la semplice annullabilità, non significa privare della tutela il condomino non convocato. Invero, essendogli riconosciuto il potere di impugnare nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, egli ha modo di far valere le sue ragioni. Peraltro, la configurazione proposta esclude il rischio che le delibere assembleari possano essere impugnate anche dopo il trascorrere di un lunghissimo tempo, sol perché un requisito formale non è stato osservato, con conseguenze gravissime sulla gestione del condominio.
14. Un ultimo argomento proviene dal nuovo assetto dell’art. 2739 c.c. stabilito dalla riforma societaria.
14.1. In attuazione dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge-delega n. 366/2001, il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nel regolare le assemblee della società per azioni, ha dettato nuove norme sui vizi delle deliberazioni, modificando gli artt. 2377, 2378 e 2379 c.c. e aggiungendo due nuovi artt., 2739-bis e 2739-ter, oltre l’art. 2734 bis. Il nuovo sistema ha innovato, in primo luogo, il regime di invalidità degli atti, sotto il duplice profilo della causa e degli effetti, in entrambe le fattispecie di annullabilità e nullità. In secondo luogo, ha modificato il procedimento di impugnazione delle delibere invalide, in coerenza con le nuove norme sul processo in materia di diritto societario, e affiancando all’azione reale una speciale azione personale e risarcitoria dei danni causati dalla deliberazione viziata.
14.2. Nel sistema adottato, la regola generale, come nel precedente assetto, è quella secondo cui la violazione di legge o di statuto induce la annullabilità. Invece, la nullità consegue ad una serie di violazioni particolarmente gravi della legge, e la relativa disciplina, anziché richiamare – come faceva il vecchio art. 2379 – le regole generali sulla nullità dei contratti, di cui agli artt. 1421, 1422 e 1423 c.c., contiene disposizioni particolari e introduce nuove ipotesi. Le ipotesi di nullità sono tre (art. 2379) e per ciascuna è dettata una disciplina intesa al contenimento della fattispecie e delle sue conseguenze; la disciplina comune consiste nella impugnabilità da parte di chiunque vi abbia interesse nel termine di tre anni (con l’eccezione di ipotesi particolari) e alla rilevabilità d’ufficio, nei casi e nei termini previsti.
14.3. Secondo i primi commenti la riforma avrebbe privilegiato l’interesse della società alla stabilità delle delibere e l’esigenza del mercato alla stabilità dei rapporti giuridici, senza pregiudicare peraltro l’interesse dei singoli soci a non subire dei pregiudizi per l’illegalità delle delibere sociali.
15. Avuto riguardo alle considerazioni svolte e ai principi espressi, queste Sezioni Unite ritengono che debbano qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto. Debbano, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
16. Il contrasto giurisprudenziale, pertanto, va risolto affermandosi che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporta non la nullità, ma l’annullabilità della delibera condominiale, che se non viene impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137, 3° comma, c.c. – decorrente per i condomini assenti dalla comunicazione e per i condomini dissenzienti dalla sua approvazione – è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
17. Il principio comporta, quindi, il rigetto del primo motivo di ricorso.
18. Anche il secondo motivo è da rigettare, perché (come sopra detto) questa Corte ha costantemente affermato l’annullabilità ex art. 1137 c.c. della delibera il cui verbale contiene delle omissioni, anche relative alla mancata individuazione dei singoli condomini assenzienti, dissenzienti, assenti e al valore delle rispettive quote (Cass. 22 gennaio 2000, n. 697; 29 gennaio 1999, n. 810).
19. Infine pure il terzo motivo è infondato, perché la delibera ha riguardato non la determinazione e fissazione dei criteri legali ovvero convenzionali per la ripartizione delle spese, ma, nell’ambito di tali prefissati criteri, la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative a lavori straordinari ritenuti afferenti a beni comuni (posti auto o vano ascensore) e tassa di occupazione di suolo. E’ stato sempre riconosciuto che la delibera, assunta nell’esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall’art. 1135, nn. 2 e 3, c.c. relativa alla ripartizione in concreto delle spese condominiali, ove adottata in violazione dei criteri già stabiliti, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell’art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza (trenta giorni) previsto dall’art. 1137, comma ultimo, c.c. (v. Cass. 9 febbraio 1995, n. 1455; 8 giugno 1993, n. 6403; 1° febbraio 1993, n. 1213).
20. In base alle considerazioni svolte, il ricorso va, quindi, rigettato, con condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 2.600,00, di cui euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali e accessori come per legge.