A cura della Dott.ssa Romina Ridolfi
SOMMARIO: 1. Aspetti giuridici dell’attività subacquea turistico-ricreativa. 2. La responsabilità giuridica dell’istruttore subacqueo. 3. La responsabilità giuridica della guida subacquea. 4. Aspetti legali dell’ incidente subacqueo.
1- ASPETTI GIURIDICI DELL’ATTIVITA’ SUBACQUEA TURISTICO-RICREATIVA
L’attività subacquea in apnea o con respiratore può essere esercitata liberamente rispettando alcune norme generali che obbligano, ad esempio, di segnalarsi con una bandiera rossa con striscia diagonale bianca posta sul galleggiante o sulla barca di appoggio, ai sensi dell’art. 130 del D.p.r. 1639/68 e di operare in un raggio di 50 metri da essa o, di notte, con un fanale lampeggiante giallo.
Vi è inoltre una normativa particolare stabilita dalle leggi regionali, dalle ordinanze delle Capitanerie di porto per il territorio di loro competenza, dai regolamenti di parchi ed aree marine protette e dai provvedimenti di altre competenti autorità amministrative.
I subacquei possono quindi immergersi direttamente da riva, oppure utilizzare una imbarcazione a disposizione, o per cui hanno stipulato un contratto di locazione o di noleggio.
In quest’ultimo caso il noleggiatore non ha alcun obbligo inerente all’attività subacquea ed il locatore, quantunque si trovi a bordo, non è responsabile per i rischi della navigazione, se non nei limiti in cui assuma eventualmente il comando del mezzo.
Di conseguenza sul noleggiante o conduttore grava un rischio notevole e spesso, in caso di gruppi organizzati da negozi di subacquea, da istruttori, o da club, agisce come erogatore del servizio completo nei confronti dei componenti del gruppo con cui stipula dei veri e propri contratti di immersione “tutto compreso”, esponendosi a forti responsabilità in caso di inadempimento.
Presso il Ministero delle attività produttive si trova l’elenco nazionale delle organizzazioni didattiche, attualmente circa una ventina, che si occupano dell’addestramento alle attività subacquee per il settore turistico-ricreativo.
Le didattiche cosiddette commerciali, distinte da quelle federali, sotto il profilo giuridico, altro non sono che società commerciali, raramente trattasi di singoli imprenditori, che hanno acquistato, il più delle volte in franchising con esclusiva territoriale, dalla casa madre il diritto di utilizzare un marchio ed un sistema di insegnamento con la possibilità eventualmente di modificarlo, o di realizzarlo autonomamente.
Tali società a loro volta sottoscrivono contratti di franchising annuali, o di sola fornitura di servizi con soggetti titolari di negozi di subacquea, istruttori, aiuto-istruttori, guide subacquee, rilasciando, su certificazione dell’istruttore, il relativo attestato finale agli allievi.
I corsi di vari livelli sono regolamentati da standard imposti dall’organizzazione didattica e spesso diversi da didattica a didattica.
Quasi tutte le didattiche riconoscono i brevetti rilasciati da un’altra didattica come idonei per l’ammissione ad un proprio corso di livello successivo e comunque in caso contrario prevedono meccanismi di integrazione.
Il brevetto rappresenta il riconoscimento che l’allievo ha raggiunto il livello minimo di preparazione previsto per la fine di quel corso, cioè l’addestramento necessario, secondo la rispettiva didattica, per poter svolgere una data tipologia di immersioni caratterizzate da una certa profondità, dal bisogno di effettuare o meno tappe obbligatorie per risalire in superficie (cosiddette immersioni in curva e fuori curva di sicurezza), da specifiche condizioni ambientali e dall’uso di aria o piuttosto di particolari miscele respiratorie.
Il titolare di un centro di immersioni, pertanto, oltre a mettere a disposizione della clientela servizi quali locali per cambiarsi, lavarsi, sciacquare le attrezzature, di fornire bombole cariche, di accompagnare i subacquei sul luogo di immersione con un mezzo idoneo, di assicurare una guida subacquea se l’immersione è guidata, nonchè un adeguato supporto di superficie e di riportare i clienti al diving, ha obblighi derivanti dagli artt. 1366 e 1375 cod. civ. di “protezione” e di “prevenzione dei rischi”.
Il titolare di un diving center, infatti, deve informare preventivamente e con maggior chiarezza possibile i clienti dei rischi derivanti dall’attività subacquea e delle caratteristiche del punto di immersione, onde evitare di portare su un sito subacquei non adeguatamente addestrati per affrontare quell’immersione ed aver pronto un efficace piano di emergenza in caso di incidente.
A questo proposito, l’esibizione del brevetto costituisce una prova qualificata delle condizioni di addestramento del sub.
Inoltre un contratto concluso per una immersione avente caratteristiche diverse rispetto ai limiti del brevetto del cliente, configura una violazione di norma imperativa con conseguente nullità di quest’ultimo, non potendo apportare la sostituzione di clausole senza variare l’oggetto stesso del contratto.
Nella pratica viene anche fatto sottoscrivere al cliente un documento, denominato impropriamente “scarico di responsabilità”, la cui funzione è puntualmente travisata.
Questo modulo infatti non serve ad esonerare da responsabilità il gestore del diving, effetto impedito a meno di colpa lieve dall’art. 1229 cod. civ., ma anche nel caso di colpa lieve dall’art. 1469 bis cod. civ., trattandosi di un contratto tra un professionista ed un consumatore, bensì a delimitare l’oggetto delle prestazioni del diving center ed a fornire la prova delle informazioni che il subacqueo ha comunicato sul proprio stato di salute e sulla propria esperienza ai fini della programmazione dell’immersione.
In tale documento il cliente dichiara di essere in buone condizioni di salute e di avere l’esperienza, l’addestarmento e l’equipaggiamento necessario per effettuare quella specifica immersione, di essere stato informato dei rischi e dei requisiti richiesti, nonchè di obbligarsi a seguire le direttive del personale del diving ed, in acqua, dell’eventuale guida, senza eccedere i limiti previamente convenuti.
E’ inoltre evidente che, qualora da tale documento risulti che il cliente abbia chiesto di utilizzare il solo supporto logistico di superficie e di non volere una immersione guidata, il diving center non è responsabile in alcun modo delle scelte di immersione del cliente stesso.
2- LA RESPONSABILITA’ GIURIDICA DELL’ISTRUTTORE SUBACQUEO
In base alla descrizione che ci viene fornita all’art. 14 comma 3 dal Testo unificato[1] adottato il 2 febbraio 2005 dalla Commissione XI della Camera, relativo alla disciplina delle attività subacquee ed iperbariche, l’istruttore subacqueo è colui che, in possesso di corrispondente brevetto rilasciato da una organizzazione didattica, insegna a persone singole ed a gruppi, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le tecniche dell’immersione subacquea a scopo ricreativo, in tutti i suoi livelli e specializzazioni.
La tipologia contrattuale che si avvicina di più alla prestazione di insegnamento ed addestramento dell’istruttore subacqueo è quella del contratto d’opera e l’obbligazione che l’istruttore assume nei confronti degli allievi è un’obbligazione di mezzi, cioè l’istruttore non ha l’obbligo di far ottenere il brevetto all’allievo, bensì di insegnare determinate materie e tecniche all’allievo senza garantire necessariamente il raggiungimento del risultato, che può essere influenzato da fattori esterni alla persona dell’istruttore ed inerenti invece all’allievo stesso, quali, ad esempio, la predisposizione e l’impegno.
L’istruttore subacqueo, quindi, è responsabile contrattualmente laddove si possa riscontrare una violazione degli obblighi di diligenza nello svolgimento del suo lavoro: incompetenze tecnico- sportive, omissione di controllo dell’attrezzatura sportiva utilizzata, incapacità di valutare lo stato di apprendimento dell’allievo.
Pertanto il danno fisico, che l’allievo, di maggiore età, eventualmente si procuri durante l’addestramento a causa della violazione di uno di questi doveri, rientra nella piena responsabilità dell’istruttore, a meno che egli non dimostri di non aver violato gli obblighi di diligenza posti a suo carico, di aver preso tutte le precauzioni ed aver usato tutti gli accorgimenti necessari per evitare i rischi tipici dell’attività subacquea e che l’evento dannoso si sia verificato per caso fortuito, ovvero per una circostanza nè prevista nè prevedibile, al di fuori quindi della sua sfera di controllo.
La più recente giurisprudenza in materia ha ritenuto talvolta applicabile alla figura dell’istruttore sportivo il regime previsto dall’art. 2236 cod. civ. che limita la responsabilità dello stesso istruttore nei casi in cui egli si trovi a dover risolvere problemi di particolare difficoltà tecnica: egli pertanto risponde soltanto per dolo o colpa grave, restando esonerato dalla colpa lieve.
La posizione dell’istruttore è molto più gravosa, invece, nel caso in cui vi siano allievi minorenni che, con il loro comportamento, abbiano causato danni.
L’istruttore infatti è, in questo caso, ritenuto responsabile del danno cagionato ad altri dal minore, salvo che fornisca la prova di non aver potuto impedire il danno.
Non è sufficiente però provare di aver usato l’ordinaria diligenza e di essere esente da colpa per il fatto dannoso occorso, ma bisogna dimostrare sia che il fatto dannoso derivi da un comportamento del tutto imprevedibile e repentino dell’allievo, tale da rendere impossibile un intervento dell’istruttore atto ad impedire o limitare il danno, sia di aver adottato preventivamente tutte le precauzioni possibili per scongiurare la situazione di pericolo che ha causato il danno.
E’ interessante aggiungere, infine, che lo sport subacqueo, come già altre discipline sportive, sebbene non ci siano in giurisprudenza pronunce univoche, potrebbe rientrare tra le attività pericolose disciplinate dall’art. 2050 cod. civ. per la sua stessa natura o per la natura dei mezzi adoperati, per le condizioni di anormalità e di potenziale rischio in cui si svolge.
In questa ipotesi la responsabilità dell’istruttore subacqueo sarebbe identica a quella appena esaminata nella fattispecie del danno provocato da un minore durante l’immersione.
3- LA RESPONSABILITA’ GIURIDICA DELLA GUIDA SUBACQUEA
L’art. 14, comma 4, della Legge quadro del 2005 sull’ordinamento delle attività subacquee, definisce guida subacquea chi, in possesso di corrispondente brevetto, assiste l’istruttore nell’addestramento di singole persone o gruppi di persone e li accompagna in immersione, anche in modo non esclusivo e non continuativo.
Nell’ipotesi, quindi, in cui la guida provochi un danno con un suo specifico comportamento, risponderà del danno per responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., come qualunque altra persona che cagioni un danno ad un’altra, ovvero per responsabilità contrattuale nel caso in cui si ravvisi la violazione di un obbligo contrattuale.
E’ più interessnte invece valutare se la guida possa rispondere o meno di un danno causato da una sua omissione.
Nel caso in cui la guida si assumi l’obbligo di sostenere e controllare subacquei poco esperti durante l’immersione, la responsabilità della guida stessa si avvicina molto a quella dell’istruttore, perciò è responsabile dei danni subiti dai partecipanti all’immersione se non prova di aver svolto il suo lavoro con l’ordinaria diligenza e di aver fatto di tutto per evitare il danno, verificatosi per forza maggiore.
Se invece la guida si è impegnata soltanto ad accompagnare su un sito di immersione subacquei già esperti, allora la responsabilità è senz’altro limitata ad eventuali comportamenti negligenti attivi posti in essere dalla guida stessa.
A questo proposito il Tribunale di Milano[2], in occasione della morte di un sub durante una escursione fotografica subacquea, ha precisato che “non è responsabile il soggetto sul quale gravava l’obbligo di seguire il gruppo per ragioni di sicurezza, in quanto non può ricoprire nella circostanza la qualità di istruttore subacqueo, se nessuna attività di insegnamento o di tirocinio doveva essere svolta“.
Nello specifico il Tribunale non ha ritenuto responsabile la guida dell’omesso controllo della preparazione tecnica dei partecipanti, poichè per partecipare all’escursione dovevano essere sub esperti, nè dell’omesso controllo dell’equipaggiamento dei partecipanti, dal momento che la guida era tenuta a fornire esclusivamente le bombole e la zavorra, restando a carico dei partecipanti medesimi provvedere alle altre attrezzature.
Nella medesima sentenza invece il Giudice ha ritenuto responsabile il fotografo subacqueo che, dopo aver accettato di guidare l’immersione, ha dotato la vittima di una zavorratura non idonea alle sue condizioni di peso ed al tipo di immersione da svolgere.
In tal caso, se vi è un nesso di causalità tra la morte del subacqueo e la zavorra fornita, la guida, avendo avuto un ruolo attivo nel determinare l’evento dannoso, è responsabile di tale danno.
4- ASPETTI LEGALI DELL’INCIDENTE SUBACQUEO
Un incidente subacqueo può coivolgere, oltre la vittima, anche altri soggetti che possono semplicemente essere stati spettatori, o aver partecipato all’immersione, all’incidente stesso, o ai soccorsi.
Tralsciando eventuali comportamenti dolosi, per cui non si può certamente parlare di incidente subacqueo, tutti sono tenuti all’obbligo minimo di soccorso.
L’art. 593 cod. pen. impone, infatti, a chi trovi un corpo umano che sia o sembri inanimato, o una persona ferita, o in pericolo, di prestare l’assistenza necessaria, o di avvisare immediatamente l’Autorità.
La giurisprudenza[3] precisa che “non è sufficiente il ferimento o una generica condizione di pericolo, ma è necessario che la ferita o le altre condizioni soggettive siano tali da privare il soggetto della capacità di provvedere a se stesso; l’incapacità di autodeterminazione è presunta nell’ipotesi di persona che non dia segni di vita, o che sembri inanimata e va accertata caso per caso nell’ipotesi di persona ferita o altrimenti in pericolo“.
Inoltre talvolta non basta dare immediato avviso all’Autorità, tenendo infatti conto delle circostanze concrete, delle particolari condizioni e qualità dell’agente, nonchè dei mezzi a sua disposizione, “solo se non è possibile fornire il soccorso, può ritenersi soddisfatto il precetto legislativo con l’avviso all’Autorità“[4].
Naturalmente non si richiede al soccorritore di mettere in pericolo la propria persona, o addirittura altre persone, ma in ogni caso chi viola la norma sopra citata, oltre alla sanzione penale, è chiamato al risarcimento dei danni provocati dalla sua omissione.
L’assitenza può ritenersi non occorrente solo quando il ferito o il pericolante sia già convenientemente assistito da altri.
Causare un incidente significa porre in essere un comportamento che prevedibilmente, secondo la logica comune, può determinare un evento dannoso, sottolineando che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo ex art. 40 cod. pen.
Perchè ci sia responsabilità occorre che ci sia la colpa che sussiste quando l’evento non è voluto dal soggetto agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (art. 43 cod. pen.).
Solo in casi espressamente previsti dalla legge e con riferimento alle sole sanzioni civili può esservi una responsabilità senza bisogno di dover provare una specifica colpa: ad esempio l’art. 2050 cod. civ. prevede che nell’esercizio di una attività pericolosa chi cagiona il danno è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.
Una determinata attività subacquea, per i particolari mezzi impiegati e le condizioni operative estreme, può rientrare nell’ambito delle attività pericolose ex art. 2050 cod. civ.
Infine, soltanto per le conseguenze civili, non quindi per quelle penali, la responsabilità può essere diminuita dal concorso di colpa della vittima, o addirittura esclusa quando il danneggiato avrebbe potuto evitare i danni con l’uso dell’ordinaria diligenza (art. 1227 cod. civ.).
I compagni di immersione, indipendentemente dal tipo di brevetto posseduto, rispondono dell’incidente soltanto quando questo sia stato causato direttamente da una loro colpa, poichè non hanno alcun obbligo giuridico relativo alle condizioni di sicurezza dell’immersione.
In casi rarissimi il compagno di immersione può essere ritenuto responsabile: ad esempio se coscientemente, senza essere in stato di panico o di pericolo, rifiuti una richiesta di condivisione di gas respiratorio.
Ben diversa invece è la responsabilità della guida o dell’istruttore, intendendosi per tali non coloro che semplicemente possiedano il relativo brevetto e si siano immersi a titolo di amicizia o per caso con la vittima, ma coloro che effettivamente abbiano ricoperto tali ruoli nel corso dell’immersione ed abbiano quindi assunto contrattualmente specifici obblighi.
Tali obblighi possono variare caso per caso ed in questo senso hanno una funzione importante i cosiddetti scarichi di responsabilità, cioè quelle dichiarazioni che abitualmente vengono fatte sottoscrivere ai clienti del diving.
Come già spiegato nei precedenti paragrafi, tali dichiarazioni non valgono certamente ad esonerare da responsabilità gli istruttori o le guide, quanto a delimitare l’oggetto delle prestazioni e quindi i relativi obblighi ed a fornire la prova delle informazioni che il subacqueo ha comunicato in merito al suo stato di salute ed alla sua esperienza.
Le conseguenze di un incidente possono essere inoltre aggravate dal comportamento colposo di soggetti, quali organizzatori o altri, che non abbiano adottato determinati accorgimenti di sicurezza, ad esempio non avendo previsto disponibilità di ossigeno sul luogo di immersione.
Infine bisogna segnalare che non rari sono i casi di accuse collegate a scarsa diligenza professionale di soccorritori, quali medici ed infermieri, non in grado di prestare le cure occorrenti in caso di incidente a seguito di una immersione.
[1]Vd. http://www.regioni.it/mhonarc/details_news.aspx?id=66537
[2]Trib. Milano, sez. IV, 14 novembre 1990.
[3]Cass., 3 maggio 1996, Imp. Mormorale.
[4]Cass., 22 dicembre 1937, Imp. Rombolà.
(Fonte: http://www.jei.it/approfondimentigiuridici/notizia.php?ID_articoli=472 ).