La Corte di Cassazione ha stabilito che ai fini del riconoscimento dei danni in favore del convivente della persona dannaggiata, è necessario dimostrare l'esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa.
Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.8976/2005.
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 16 aprile 1996 B. O., unitamente a A. M. e al figlio di costei, A. M., convenivano dinanzi al tribunale di Milano R. R., R. R. e la (Omissis) Assicurazioni Spa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da essi subiti a seguito dell'incidente verificatosi il 27 dicembre 1992, in cui l'auto dell'O., condotta dalla sua convivente M., era stata investita dall'auto condotta da R. R., di proprietà di R. R..
A causa della collisione la M. riportava gravi lesioni e fratture, con conseguente invalidità temporanea totale per quindici mesi, e postumi permanenti del 50%, incidenti sulla capacità lavorativa al 100%, si che ad esso O. erano derivati, di riflesso, gravi danni, morale e biologico, per complessive lire 250.000.000, oltre al danno patrimoniale per l'autovettura.
Con sentenza dell'11 marzo 1998 il tribunale di Milano rigettava la domanda dell'O. perché sfornita di prova in mancanza di indicazione del periodo di convivenza, delle conseguenze su di essa e sull'O. dopo l'incidente, nonché dell'anno di immatricolazione e dello stato di conservazione dell'auto.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 29 settembre 2000, accoglieva l'appello dell'O. limitatamente al risarcimento del danno all'auto.
Confermava per il resto il rigetto del gravame sulla considerazione che la convivenza con la M. aveva avuto inizio da breve tempo – nell'anno dell'incidente – e difettavano altri elementi probatori in ordine ad aspetti rilevanti del rapporto, incidenti sui lamentati danni, non avendo l'O. neppure dedotto una sua patologia conseguita alle lesioni della sua convivente. Analoghe considerazioni valevano per la richiesta di risarcimento del danno morale.
Avverso questa sentenza ricorre per due motivi l'O., cui resiste la Spa (Omissis). Entrambe le parti hanno depositato memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi dalla decisione
Preliminarmente va disposto lo stralcio dei documenti allegati alla memoria dell'O. perché in Cassazione la produzione dei documenti è ammissibile soltanto nei limiti indicati dall'articolo 372 c.p.c. e con le formalità previste da detta norma.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce: "violazione e falsa applicazione degli articoli 2059, 2043 c.c.; violazione degli articoli 2697 e 143 c.c., in relazione agli articoli 360 nn 3 e 5 c.p.c.".
L'O. ha dimostrato la convivenza con la M. e tale stato è rilevante per il nostro ordinamento ai fini anche del risarcimento del danno, si che aver condizionato questo diritto alla durata della convivenza o ad altri aspetti del rapporto, viola gli articoli 2043 e 2059 c.c.. Il convivente more uxorio ha infatti diritto ad ottenere il risarcimento del danno morale (analogo a quello della famiglia legittima: articolo 2059 c.c.), patrimoniale (per il contributo alla vita quotidiana: articolo 2043 c.c.), e biologico, come quello sofferto per la morte o lesioni di prossimi congiunti.
2.-Con il secondo motivo l'O. deduce: "Violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 e 2059 c.c. sotto un ulteriore profilo: diritto dell'O. ad ottenere il risarcimento del danno biologico; violazione dell'articolo 360 n. 5 c.p.c.".
La Corte d'appello ha negato il risarcimento del danno biologico che può sussistere tutte le volte che l'evento incide sull'integrità psichica e sulle manifestazioni della vita, incrinando l'equilibrio personale, e certamente il grado di invalidità residuato alla M. (60%), ha leso lo status complessivo di convivente di esso ricorrente.
I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati.
Occorre preliminarmente considerare che, dalla libera determinazione dei conviventi di fatto di non contrarre il vincolo del matrimonio, e quindi di non assumere gli obblighi che l'ordinamento impone vicendevolmente ai coniugi (coabitazione, fedeltà, solidarietà, assistenza materiale e morale), consegue l'inesistenza di qualsiasi diritto, sia di natura personale che patrimoniale, di un convivente verso l'altro, ed infatti è pacifico che qualsiasi prestazione patrimoniale fra loro, se non costituisce adempimento di una regolamentazione negoziale, non può esser pretesa, ma determina soltanto l'effetto della soluti retentio (articolo 2034 c.c.). Da qui la difficoltà per l'interprete, in assenza di disciplina normativa di carattere generale sui requisiti indispensabili affinché un'unione di fatto – anche nell'ipotesi in cui i conviventi, o uno di essi, non sia libero di stato – sia meritevole di tutela giuridica di fronte ai terzi, di enucleare un modello di convivenza dalla disciplina dettata da ragioni dì solidarietà sociale (quali ad esempio i decreti luogotenenziali 968/16, articolo 8 e 1726/18, articolo 12, ispiratori della legge 313/68 in materia di pensioni di guerra; il decreto luogotenenziale 1450/17, articolo 1, lett. b, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura, il Dpr 1124/65, in tema dì assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, norme peraltro emanate in un'epoca in cui nel nostro ordinamento non vi era il divorzio, ancorché le ragioni dì solidarietà sociale a cui esse sono ispirate hanno indotto il giudice delle leggi – sentenza 404/88 – a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell' articolo 6, comma 1, legge 392/78 nella parte in cui non prevedeva, tra gli altri successibili nella titolarità del contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio, al quale peraltro già la legislazione vincolistica aveva esteso la fruibilità di alcuni benefici).
In relazione alla disciplina della responsabilità civile dalla circolazione dei veicoli non è superfluo rilevare che il legislatore, nell'estendere l'assicurazione obbligatoria per la RCA al convivente, aveva previsto la risarcibilità del danno patrimoniale e morale soltanto per il convivente superstite della vittima deceduta – così regolamentando un'ipotesi che da tempo aveva trovato riconoscimento giuridico nella giurisprudenza – ed aveva a tal fine disciplinato i requisiti della convivenza (articolo 20 legge 12 gennaio 1992, tra cui la durata di essa per un periodo non inferiore a cinque anni) – in tal modo consentendo all'interprete di superare ogni questione scaturente dalla necessità di raccordare i principi in tema di responsabilità civile, tra cui quello secondo il quale il fatto dannoso, a norma dell'articolo 2043 c.c., deve essere contra ius e cioè deve ledere un diritto, e l'esigenza sociale di riconoscere rilevanza giuridica ad interessi e ragionevoli aspettative non in contrasto con la legge, derivanti dalla convivenza – ma la legge non fu promulgata proprio per la mancanza di criteri obbiettivi per la liquidazione del danno biologico.
Comunque il dato comune che emerge dalla legislazione vigente e dalle pronunce giurisprudenziali, è che la convivenza assume rilevanza sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio, anche nella continuità nel tempo.
Ne consegue che colui che chiede il risarcimento dei danni derivatigli, quale vittima secondaria, dalla lesione materiale, cagionata alla persona con cui convive dalla condotta illecita del terzo, deve dimostrare l'esistenza e la portata dell'equilibrio affettivo – patrimoniale instaurato con la medesima, e perciò, per poter esser ravvisato il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve esser dimostrata l'esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai terzi.
Quanto poi alla prova di tali elementi strutturali e qualificativi, concreti e riconoscibili all'esterno, presupposti dì esistenza della convivenza more uxorio e parametri caratterizzanti la stessa, può esser fornita con qualsiasi mezzo (articolo 2697 c.c.), mentre il certificato anagrafico (Dpr 223/89) può tutt'al più provare la coabitazione, insufficiente a provare altresì la condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale.
I giudici di appello, nel confermare il rigetto della domanda risarcitoria dell'O. in conseguenza delle lesioni riportate dalla M., non si sono discostati da tali principi avendo riscontrato la mancanza di prova su alcuni requisiti indispensabili, tra cui la stabilità della convivenza e la durata della medesima al momento del fatto dannoso, la cui prova era altresì necessaria per determinare il danno biologico e morale dell'O., perché la liquidazione dei predetti tipi di danno deve esser personalizzata, e quindi va tenuto conto di tutte le particolarità del caso concreto.
Quanto al danno patrimoniale dell'O., è appena il caso di aggiungere che dalla sentenza impugnata si desume che esso nei precedenti gradi è stato chiesto limitatamente ai danni all'auto, e quindi in ogni caso non può esser ampliato in questa sede.
Concludendo, il ricorso va respinto.
Sussistono giusti motivi per dichiarare compensate le spese del giudizio di Cassazione tra le parti costituite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio di Cassazione tra le parti costituite.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2005.
Depositata in cancelleria il 29 aprile 2005.