Se il bene promesso in vendita è in comunione legale ed uno solo dei coniugi stipuli il contratto preliminare di vendita con il promissario acquirente, nel giudizio promosso da quest’ultimo per l’esecuzione in forma specifica non c’è litisconsorzio necessario con l’altro coniuge che non ha partecipato al contratto. Lo ha stabilito una pronuncia della Corte di cassazione, discostandosi da un precedente orientamento.
Cass. Civ. Sez.II, Sentenza n. 20867 del 28 ottobre 2004
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 31 ottobre 1988 Loseto Natale e Cataldi Pasqua dichiararono che con scrittura privata del 16 agosto precedente avevano promesso di comprare da Mondello Giuseppe, che aveva promesso di vendere, una villa con annesso terreno sita in agro di Ostuni; aggiunsero che al momento della stipula del contratto preliminare avevano versato un acconto, anche a titolo di caparra confirmatoria, impegnandosi a versare il saldo di £. 30.000.000 al momento della redazione dell'atto notarile; dichiararono altresì che il 5 settembre 1988, pochi giorni dopo la scadenza del termine per la stipula del contratto definitivo, il Mondello aveva comunicato di recedere dal preliminare perché il termine era di natura essenziale ed era inutilmente decorso; pertanto, col predetto atto, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Brindisi il nominato Mondello e chiesero che fosse loro trasferita la proprietà del predetto bene oggetto del preliminare, dichiarandosi pronti a pagare il prezzo residuo.
Il convenuto si costituì in giudizio e contestò la domanda chiedendone il rigetto; eccepì l'inadempienza degli attori, i quali avevano fatto scadere inutilmente il termine essenziale per la stipula del contratto definitivo.
Espletata l'istruttoria del caso, il Tribunale, a conclusione del giudizio, con sentenza in data 26 marzo 1997, accolse la domanda attorea e per l'effetto trasferì ai coniugi Loseto-Cataldi la proprietà della villetta con annesso terreno, subordinando il trasferimento al pagamento da parte loro in favore del Mondello del residuo prezzo di £. 30.000.000.
Contro la decisione il Mondello propose impugnazione ed il contraddittorio tra le parti si instaurò nuovamente davanti alla Corte d'appello di Lecce, la quale, con sentenza in data 15 giugno 2000, rigettò – per quanto occorre ai fini del presente ricorso – il gravame e condannò l'appellante alle spese.
Contro la sentenza Mondello Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione e formulato tre motivi d'impugnazione.
I coniugi Loreto-Cataldi hanno depositato controricorso poi illustrato con memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 184 c.c., 1108 co. 3 c.c. e 102 c.p.c., nonché difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia; afferma che la Corte di merito non ha considerato che il bene oggetto del preliminare era di proprietà comune di esso Mondello e di sua moglie Valente Donata, che in tal caso per gli atti di alienazione è necessario il consenso di tutti i comproprietari, e che pertanto il preliminare in questione non era opponibile a sua moglie, la quale non l'aveva sottoscritto; che l'interpretazione data dalla Corte alla norma ex art. 184 creava un contrasto normativo tra la disciplina della comunione legale tra coniugi e quella della comunione ordinaria a tutto danno della prima che invece deve ritenersi maggiormente protetta in considerazione della sua funzione familiare, considerato anche il breve termine di prescrizione entro il quale il coniuge può impugnare l'atto di disposizione e la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge stesso, rimasto in tal modo all'oscuro della vicenda che lo riguarda.
Le doglianze sono infondate.
Sulla questione sostanziale posta col motivo di ricorso in esame è stato già autorevolmente affermato che dalla disciplina della comunione legale dei beni tra i coniugi risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria. Infatti, mentre quest'ultima è una comunione per quote, quella legale è una comunione senza quote; in quella ordinaria le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune, in quella legale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione; nella comunione legale la quota non è un elemento strutturale di essa ma ha solo la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari, la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione, e la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo ed il passivo sono ripartiti tra i coniugi o i loro eredi. Ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione; il consenso dell'altro, richiesto dal modulo dell'amministrazione congiunta adottato dall'art. 180 co. 2 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione, non è un negozio unilaterale autorizzativo nel senso di atto attributivo di un potere, ma piuttosto nel senso di atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere. Esso è pertanto un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto di disposizione, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio espressamente previsto come causa di annullamento dalla norma ex art. 184 c.c.; la quale, prevedendo non un caso di acquisto da un alienante non legittimato ma un caso di acquisto a domino in base ad un titolo viziato, realizza non un eccessivo favore per il terzo ma una maggiore tutela del coniuge pretermesso, dato che senza la previsione dell'azione di annullamento quest'ultimo dovrebbe accontentarsi della sola riparazione del danno. La posizione del coniuge il cui consenso fu pretermesso non risulta indebolita neppure dal breve termine di prescrizione per proporre l'azione di annullamento (un anno anziché cinque, per la necessità d'un opportuno bilanciamento dei contrapposti interessi del coniuge alla conservazione del suo diritto e del terzo alla sicurezza del traffico giuridico) apparendo tale termine sufficientemente ampio per impugnare l'alienazione ( C. Cost. sent. 17 marzo 1988 n. 311).
Alla luce dei principi ora esposti si presenta infondata anche la doglianza relativa alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie del Mondello. Se i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota ma solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione, se nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione, se è vero che in concreto, nel caso di specie, il contratto preliminare di vendita è intercorso tra i coniugi Loseto-Cataldi e il solo Mondello, e se è vero che l'azione nascente dalla norma ex art. 2932 c.c. non ha natura reale ma personale, in quanto diretta a far valere un diritto di obbligazione nascente dal contratto, deve ritenersi insussistente la necessità d'una integrazione del contraddittorio nei confronti del coniuge il cui consenso è stato pretermesso, non ricorrendo una situazione sostanziale caratterizzata da un rapporto unico ed inscindibile con pluralità di soggetti e non rivestendo quindi la moglie del Mondello la qualità di litisconsorte necessaria la cui presenza in giudizio fosse condizione essenziale affinché la sentenza non fosse inutiliter data.
Essendosi attenuta a questi principi (anziché a quello enunciato dalle sentenze di questa Corte Suprema 14 gennaio 1997 n. 284 e 11 aprile 2002 n. 5191 che hanno ritenuto la necessità dell'integrazione del contraddittorio sulla base del riferimento alla posizione giuridica del coniuge comproprietario ex lege ritenuta in modo generico inevitabilmente coinvolta nella controversia) la sentenza impugnata si sottrae alle censure contenute nel motivo in esame, il quale va, pertanto, rigettato.
2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell'art. 2932 c.c. e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia; afferma che la Corte d'appello ha accolto la domanda proposta ex art. 2932 c.c. dai coniugi Loseto-Cataldi benché costoro non avessero offerto nei modi di legge di eseguire la controprestazione relativa al pagamento del prezzo.
La doglianza va disattesa.
Come risulta dalla sentenza impugnata, la Corte d'appello, nel condividere il giudizio espresso in proposito dal Tribunale, ha osservato – con motivazione logica e sufficiente – che la volontà dei promittenti compratori di adempiere alla loro obbligazione di pagare il prezzo residuo era stata formulata fin dall'atto di citazione ed era stata più volte ribadita nel corso del giudizio, per cui poteva ritenersi seria manifestazione di volontà di adempiere al momento del rogito notarile di vendita.
La decisione è conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui il contraente che chieda, a norma dell'art. 2932 c.c., l'esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico o a farne offerta nei modi di legge se tale prestazione sia già esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento del prezzo (o della parte residua) risulti dovuto all'atto della stipula del contratto definitivo (da ultimo Cass. 1° agosto 2001 n. 10469, Cass. 11 luglio 2000 n. 9176). Inoltre, costituisce seria manifestazione della volontà di adempiere la stessa proposizione, da parte del promissario acquirente, della domanda di adempimento in forma specifica del contratto preliminare, perché il verificarsi degli effetti della sentenza di accoglimento, sostitutiva del contratto e costitutiva del trasferimento di proprietà, deve essere condizionato dal giudice all'adempimento della sua prestazione (Cass. 10 novembre 2003 n. 16822).
Anche il secondo motivo di ricorso va dunque rigettato perché infondato.
3) Col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli arti. 1453 e 1457 c.c., nonché difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostiene che la Corte d'appello ha immotivatamente disatteso la propria censura relativa al carattere essenziale del termine fissato dai contraenti per la stipula del contratto definitivo, termine che i promissari acquirenti avevano lasciato decorrere inutilmente rendendosi così inadempienti.
La doglianza non ha pregio.
La Corte d'appello con corretta motivazione ha osservato in proposito nella sentenza impugnata che il carattere essenziale del termine non poteva essere desunto dalla sola espressione "entro e non oltre" che accompagnava la sua indicazione, aggiungendo che il ritardo non era imputabile ai promissari acquirenti e che comunque esso era stato talmente esiguo da non aver cagionato la perdita di utilità economica del contratto.
Per tali ragioni essa ha rigettato la doglianza formulata dall'appellante Mondello.
La decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui il carattere essenziale del termine non pub desumersi dalla mera locuzione di stile "entro e non oltre" che lo abbia accompagnato, perché tale indicazione vale di per sé soltanto a fissare una data e non è significativa della improrogabilità di detto termine, la quale va accertata, invece, anche alla stregua di specifiche ed inequivoche espressioni dell'oggetto del contratto, la cui utilità economica perseguita dalle parti andrebbe perduta a causa dell'inutile decorso del termine pattuito (Cass. 18 giugno 1999 n. 6086, Cass. aprile 2002 n. 5509, Cass. 27 ottobre 2003 n. 16096).
In conclusione, il ricorso va rigettato nella sua interezza col carico delle spese.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella complessiva somma di E 2.100,00, ivi compresi E 2.000,00 per onorari.